Venerdì sera ho visto due spettacoli. No, non era un’offerta speciale 2×1, né due numeri speciali del circo Barnum (per quello, basta andare per strada). Ero all’Auditorium Manzoni di Bologna per assistere alla prima data della nuova tournée dell’Orchestra Maniscalchi con il tenore Gianluca De Martini, “Diamoci del tu”. Si tratta di una jazz band – composta da trombe, trombone, clarinetto e sassofoni (tra cui un dimenticato C Melody) nonché pianoforte, contrabbasso, chitarra e batteria – che è appassionata (e appassiona il pubblico) di musica italiana anni Trenta e Quaranta. Quello “swing” che si ascoltava attraverso “la scatola magica”, cioè la radio, le trasmissioni dell’EIAR, i 78 giri dell’epoca e che si ballava, pure, ed era il genere “di moda” grazie anche alle voci leggendarie delle “ugole d’oro” come Natalino Otto.
Il tenore De Martini, oltre che cantare con la riconoscibilissima impostazione di voce del tempo, ci ha guidato in un interessantissimo excursus storico del contesto in cui quella musica si andò ad inserire, tra la voglia dei giovani di importare il nuovo sound proveniente dalla terra dei sogni americana e il consueto scetticismo degli anziani, che criticavano i sassofoni “indiavolati”. Ma nel quadro c’erano elementi politici peculiari come il forte sciovinismo del regime, che traduceva i termini stranieri in italiani, producendo ilarità linguistiche, come “Luigi Fortebraccio” per Louis Armstrong e “Beniamino Buonuomo” per Benny Goodman. Da qui il titolo dello spettacolo: quel tu pronome personale che nonostante tutto riuscì a sopravvivere, resistendo alla volontà del regime di cambiare, anche profondamente, con il Voi fascista i rapporti tra le persone attraverso il linguaggio.
Senza dubbio è stato uno spettacolo di “resistenza”, come nelle parole di Giorgio Bozzo, produttore del progetto Orchestra Maniscalchi, come del simile Sorelle Marinetti, sia nel cercare di riproporre e, quindi, far rivivere un genere ormai perso nell’oblio del tempo, sia perché quella musica serviva a caricarsi di vitalità in tempi oltremodo oscuri e travagliati (forse sono dietrologica, ma qui ho colto una certa similitudine con i nostri non facili giorni – il recupero musicale non è un mero esercizio di stile, anzi).
È stato sicuramente un piacere, almeno per me che amo quel genere di musica, ascoltare l’ottima esecuzione dei professionisti del palco, e c’era il rischio, come in tutte le riproposizioni del passato, di cadere nei terribili “tributi” letterali che fanno tanta tristezza, un po’ l’effetto “cover band”, insomma. E così veniamo al secondo spettacolo. Che era costituito dal pubblico stesso. È stata incantevole la presenza, per la stragrande maggioranza, di spettatori over 70, che mi ha cullato in un perfetto viaggio sulla macchina del tempo. Sono magnifici i nonni bolognesi: non penso abbiano un account mail e ricevano newsletter, però sono un network migliore di facebook ed erano in massa ad assistere a questo spettacolo. Magari con andature un po’ lente e sovraccariche, eppure rifulgevano intorno a me dentiere kukident e ciuffi alla Crudelia Demon. Nell’intervallo, signore e signora nella fila davanti avevano una discussione sul tresette. Ma la cosa più bella è successa quando il tenore Gianluca De Martini ha introdotto la canzone sul pianista Alberto Semprini, classe 1908: io mi sono girata verso il mio cavaliere e ci è uscito un elegante “chi minchia è?”, mentre nella sala risuonava un “ooohh” generale come se si parlasse per noi di Madonna.
Insomma, a parte il fatto che, sì!, sono invidiosa marcia di questa beata gioventù – altro che modernismo giovane vs. conservatorismo anziano! – ho capito che se vuoi trovare una buona trattoria devi guardare dove si fermano i camionisti, al pari se vuoi trovare del buon swing devi cercare il bastone da passeggio. Viva Maramao perché sei morto! (bis della serata).
Nicole Pilotto
…for malacopia
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