Il Don Giovanni. Vivere è un abuso, mai un diritto, di e con Filippo Timi, Teatro Duse, 15 dicembre 2013.
Filippo, what else? Eh sì, nel suo Don Giovanni Filippo Timi è un po’ il George Clooney della pubblicità: affascinante, ammiccante, evidentemente piacione. Alla fine, adorabilmente stronzo. Ma quell’effetto patinato da pubblicità si rivela fin da subito un’illusione. Dopo pochi istanti dalla sua prima entrata in scena, si intuisce che lo spettacolo sarà l’apoteosi dell’eccesso dell’io e della sua ingordigia. Filippo, infatti, riesce perfettamente ad incarnare l’essenza dell’ingannatore di Siviglia in tutte le sue declinazioni, dal suo primo apparire nel 1630 nella commedia di Tirso de Molina alla versione, che l’ha reso tanto celebre, di Mozart – certamente la preferita nella riscrittura di Timi. Dopo Amleto, un’altra figura iconica da rileggere e di cui appropriarsi.
Don Filippo, dunque. Esagerato, sfrenato, spropositato, tutto qui è fuori misura. Un abuso, come dichiara il titolo. E, per questo motivo, tutto appare incredibilmente contemporaneo, odierno, attuale. L’ambientazione barocca ha lasciato il posto ad un mood assolutamente pop, con sfumature gotiche e camp. L’atmosfera è esasperata dagli ingombranti, meravigliosi costumi di Fabio Zambernardi, che gioca tra ambiguità sadomaso e incongruenze, in una folle esaltazione dell’eccesso. Eccessivo anche nella continua fuga questo Don Giovanni: tutti i personaggi lo ricorrono sulla scena e tentano di afferrarlo – come nella vita si cerca, troppo spesso invano, di afferrare l’amore. Troppo evanescente, troppo.
Tutto è troppo eccessivo da… apparire verosimile. Verosimile la bugia reiterata, verosimile l’inganno, verosimili l’egoismo e il totale disprezzo dell’altro. Tanto che ci si fa l’abitudine. La fame d’amore di Don Giovanni si rivela per quella che è diventata ai giorni nostri: insaziabile lussuria, bramosia dei sensi. Niente sentimenti. Tutto troppo superficiale. Tutto troppo cinico. Ma ci siamo abituati, tanto che, alla fine, ci appare tutto “normale”.
Le signore-da-teatro-lirico, che mi circondano, per tutto lo spettacolo non fanno altre che criticare le scelte di riscrittura. Prima, grande lezione per un autore: attenzione a dare un titolo classico, un certo tipo di spettatori non apprezza perché non capisce. Tutto un chiacchiericcio continuo: troppo di qui, troppo di là. Troppo dissacrante, dunque? Filippo Timi, istrionico, con una presenza scenica incredibile (il palco si sarebbe riempito a uovo anche solo con la sua voce), attore talentuoso al limite del geniale, è un autore dissacrante: dai momenti di maggiore intensità Don Filippo si libera con battute brillanti, quasi scudisciando con la lingua qualsiasi scambio di battute appena un po’ più vellutato ed aulico. Il primo atto vola in un crescendo davvero coinvolgente. Il secondo atto, in confronto al primo, quasi si spegne sul finale.
Tutto-tanto-troppo. Ne sto abusando. Anche questo articolo sta diventando troppo lungo! Un abuso!
Dopo interminabili applausi da spellarsi le mani, si riaccendono le luci e origlio l’immancabile polemica delle signore-da-teatro-lirico.“Originale, certo, e sorprendente… ma non credevo uscisse così tanto dagli schemi”? Quali schemi? Quelli codificati dalla scrittura mozartiana? Posso dire: ecchisenefrega?
Io che avevo sentito tanto parlare della sua bravura (anche) a teatro ma non l’avevo mai visto, devo dire che Filippo Timi mi è piaciuto molto. Anche troppo. Le signore-da-teatro-lirico, che già lo conoscevano, credo che, alla fine, tutto-questo-tanto da lui un po’ se l’aspettassero. Il troppo in questo caso non stroppia ma diventa prevedibile (non per questo, però, meno gustoso). Don Giovanni, dunque: tanto dissacrante da apparire ormai quasi ortodosso.
Bravi anche gli altri attori ma Filippo è troppo bravo, un fuoriclasse sempre in fuga. Timi ha fatto dell’eccesso una vera cifra stilistica.
Marco Melluso
… for malacopia
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