Un eccezionale strappo alla regola per una famiglia d’eccezione: malinvista tripla a Patrizio Roversi, Syusy Blady e Zoe Roversi Giusti! In esclusiva malacopia 🙂
Tu e malacopia: cos’è per te la malacopia? Ci racconti un episodio che ha a che fare con la malacopia?
Patrizio: La “bruttacopia” è un processo, un itinerario verso la perfezione, verso la raffinazione e la sintesi di un prodotto, di un’idea, di un manufatto, di uno scritto. Nel nostro caso è stata spesso il prodromo di un montaggio video: nella post-produzione delle puntate di Turistipercaso o di Slow Tour, partiamo da una prima versione (malacopia) lunga e spesso sfilacciata, per arrivare alla versione finale, più breve, levigata, sintetica. Io, per esempio, sono la brutta copia di quello che vorrei essere… Se campo fino a 200 anni forse ce la faccio ad arrivare alla mia bella copia!
Syusy: Ormai non esiste più. Scrivendo al computer correggi lo stesso testo che era all’inizio una malacopia. Ma se lo s’intende come un pensiero buttato giù d’istinto, frutto del momento, allora direi che la malacopia è il mio modo di scrivere. (Come potete ben constatare.)
Zoe: Al pensare ad una “malacopia”, a me vengono in mente le immense malacopie di compiti in classe che per tredici anni di scuola consegnavo ai miei professori, senza averle rilette per nulla. Per lo più erano malacopie di temi – che da soli mi hanno sempre tenuto ben sollevata la materia d’italiano, e potevano superare le otto facciate di fogli protocollo. Mi affidavo allo stream of consciousness sia nei temi in cui volevo dire troppo sia in quelle terze prove di storia in cui sapevo molto poco. Il risultato era un controllo parziale su qualsiasi cosa io avessi messo su carta e parole che andavano oltre ai bordi e tentavano – soprattutto nelle terze prove – di non farsi troppo notare usando la classica e mai abbastanza apprezzata tecnica della scrittura in piccolo. È da solo sei mesi che non devo più preoccuparmi di terze prove o temi, anche se non ho la più pallida idea di come potrà essere lo scritto di un esame universitario. Però la malacopia è sempre con me, perché non riesco a sfuggirle quando tento di scrivere dei racconti. E si burla di me gioiosamente, perché puntualmente, anche se ricontrollo quanto ho scritto molte e molte più volte di quello che potevo fare al liceo, gli errori grossolani, le sentenze senza alcun senso e le frasi di sette righe si mostrano allegramente ai miei occhi solo quando ho inviato il tale racconto ad un’amica, e non prima.
Lavoro: di gruppo o solitario?
P.: Il lavoro è sempre di gruppo, o non è. Da soli ci si fa le pippe.
S.: Sempre di gruppo, purtroppo, è la mia maledizione, amo condividere… Ma poi il lavoro è anche in solitudine, solo che mi sembra meno importante.
Z.: Per quanto mi riguarda, il mio lavoro è solitario, perché anche se ho sfiorato quello di gruppo in un paio di occasioni – provare a studiare con degli amici, un lavoretto in un negozio, uno spettacolo –, in tutte quelle circostanze il compito di ognuna delle persone era ben preciso e fatto in disparte dagli altri. Sono stata abituata a lavorare e gestirmi da sola, però mi piacerebbe molto trovare in futuro un progetto da fare in gruppo. Perché, come ha scritto mio babbo, e sono sicura che mia mamma la pensa allo stesso modo, il lavoro fatto da soli è solo lavoro, ma quello fatto insieme si può tramutare in progetto. I miei genitori da soli non sarebbero riusciti a portare alla vita Gran Pavese Varietà, o gli spettacoli per bambini, o Turisti per caso, o Velisti per caso. Mia mamma, anche se ha seguito un’idea tutta sua, non sarebbe stata capace da sola di rendere l’Orto dei Giusti vivo come lo è oggi. Servono sempre altre persone per creare qualcosa di “vivente”. Io ho potuto sentire la soddisfazione che stavo partecipando nel mio piccolo a creare un progetto che si faceva via via sempre più vivo quando partecipai a un piccolo spettacolo della compagnia Chien qui Fume, e fu una sensazione bellissima.
Ci descrivi il tuo lavoro: come lo vivi e come lo pensi?
P.: Lo vivo faticosamente, evito di pensarci troppo.
S.: È troppo difficile descriverlo.
Z.: Sono al primo anno di università, frequento Antropologia a Roma, quindi non “lavoro”. La tragedia dello studiare è che è il miglior lavoro del mondo, ma la piena soddisfazione non arriva mai – la sensazione di aver finito non arriva mai – e l’hanno infarcito di voti, paure, sensi d’inferiorità e in generale frustrazione – per quanto riguarda la scuola dai sei ai diciannove anni. Quando si studia si ha sempre la percezione di poter fare meglio, o di aver potuto fare di meglio, e le scadenze non terminano mai. Ho sentito un vero sollievo quando con la Working Experience organizzata dalla mia scuola lavorai per un paio di settimane in un negozio a Londra. Non mi pagavano, ovviamente, e stare in cassa era un po’ una tortura, ma a fine giornata avevo finito, e questo mi dava molta soddisfazione. Amo molto studiare, vorrei farlo per tutta la vita. Lo amo soprattutto ora che frequento una facoltà che mi piace, perché sento che ogni lezione mi amplia la mente. Tuttavia a volte, pensando anche al fatto che in questi anni trovare lavoro – anche se part time – è difficile, ho paura che dovrà passare del tempo, prima che io trovi un lavoro più “manuale” di questo, e quindi risentire di nuovo quel senso di “conclusione”. Ho un paio di amiche che hanno smesso di studiare, dopo il liceo, e ora sono letteralmente a spasso, perché non trovano nulla come lavoro. Questa prospettiva m’inquieta molto.
Cos’è per te la creatività?
P.: La capacità di riorganizzare in modo originale i dati del reale, la capacità di creare i nessi fra le cose e le persone, la possibilità di vedere la realtà da un punto di vista nuovo e diverso dagli altri, di mettere assieme cose, persone, idee che tra loro non c’entrano niente… fino alla creazione di qualche cosa di “nuovo”, diverso, spiazzante, imprevedibile, destabilizzante, deviante.
S.: La creatività è stare abbastanza bene o abbastanza male per essere in contatto con qualcosa che non sai ben definire ma che t’ispira.
Z.: Qualcosa d’inestimabile da cui non si può prescindere. È quella scintilla che c’è in ognuno di noi – o nella maggior parte di noi, voglio sperare. Anche se ne si ha un briciolo non si riesce a sfuggirle, perché serve e viene fuori in ogni lavoro o piccola creazione che si fa. Se si vuole organizzare un’uscita, bisogna anche solo minimamente mettere in moto le “celluline grigie” – come dice Poirot – del cervello, ed ecco che compare la scintilla di creatività. Anche spazzare per terra può essere creativo. È quello il bello. Penso che ci si debba ritenere veramente fortunati se ne si sente un goccio dentro di sé e se si vive in un ambiente che favorisce il suo svilupparsi.
Creativo è anche utile?
P.: Direi INDISPENSABILE, vitale, necessario.
S.: È utilissimo! Quella piccola variante che produce il cambiamento, che produce l’evoluzione, è frutto di un atto creativo, che può essere talvolta anche solo biologico, oppure frutto della capacità di qualcuno di accedere ad un sapere universale, quasi come se fosse un’antenna che capta una “gran bella trasmissione in onda”. Ma forse detto così è anche un po’ troppo esagerato, roba da geni; nella quotidianità e nel piccolo la creatività salva semplicemente la vita. Ti permette di avere un motivo per sopravvivere alla banalità. Ovvero, ti permette di trovare risposte inusuali e paradossali ai soliti problemi.
Z.: Oscar Wilde, per difendere l’arte e la creatività, diceva di no, e che non deve esserlo, perché sennò manca al suo scopo. A mio parere no, non è utile, ma è indispensabile. E questo la rende ancora più importante dell’utile. Il teatro, la festa, la musica, il ballo sono attività gioiose intrinseche all’essere umano. Certo, avere del pane e un dottore a disposizione – sempre che questo non sia un’incompetente, e ce ne sono – è molto più utile per sopravvivere, ma è meglio avere poco pane e qualcuno che suona uno strumento vicino che essere ricchi e vivere in una mediocre tristezza. È un po’ l’equivalente della differenza tra il bere poca acqua in bottiglia e distillata e il bere dell’acqua di montagna o di collina direttamente dalla sua fonte. Nel secondo caso c’è più gioia, c’è più vita e più voglia di godersi le cose.
Un’idea per il futuro.
P.:Un Movimento Unitario Culturale & Civile Alternativo (MUCCA) che sposti l’asse terrestre, ma non quello geografico, quello economico/produttivo/filosofico, per invertire una tendenza che ci sta portando all’estinzione come specie umana troppo velocemente (in sé la nostra estinzione è nell’ordine delle cose, ed è magari auspicabile, ma almeno che non arrivi mentre è ancora vivo mio nipote!).
S.: Per salvare il mondo? O per sapere cosa facciamo stasera? Cosa si fa stasera…? Le ho pensate tutte. È una vita che le penso tutte. Volete un pensiero nell’ambito spirituale? Trovo che dovemmo tutti dedicarci alla ricerca della nostra anima e bonalè. O volete magari una risposta sociale? Sono convinta che il matriarcato sia il miglior sistema per formare una socialità egualitaria che assista tutti e in cui nessuno è abbandonato. Niente matrimonio ma veri gruppi familiari funzionanti. In ogni caso, per chi non ne sapesse nulla, andate a vedere come vivono i Moso dello Yunnan. Il futuro come lo vedo adesso? Bruttino. Siamo nel Kali Yuga, e tutto non può che andare di male in peggio. Rassegnatevi. Ma va bene così.
Z.: Come mia madre, miro a un arcaico futuro. Il che significa, per me, un mondo con una libertà di culto più ampia e una spiritualità più universale. Il lato positivo di questo millennio è che si sta tentando, da una parte, di recuperare la propria cultura antica, e dall’altra i mezzi di comunicazione e di scambio sono sempre più efficaci. Ci sono scienziati che stanno provando che certe leggi filosofiche o spirituali valgono perfettamente anche nella fisica. Vorrei che queste informazioni fossero più conosciute in tutto il mondo, e che si arrivasse a una visione più d’insieme. Per quanto riguarda il governo, vorrei che finalmente si arrivasse a un capovolgimento, in cui il sistema fosse modificato dalle sue radici, e noi non dovessimo più dipendere dagli interessi delle banche. Non so come, non so quando, ma vorrei arrivarci all’anno in cui si potrà vedere qualcosa di simile, grazie tante. Intanto io vorrei rintanarmi in una specie di nuovo ordine spirituale su una collina. Mi piacerebbe fondare dei luoghi di ritrovo spirituale e riabilitare antichi templi aperti a tutti.
…con amore
Patrizio Roversi, Syusy Blady, Zoe Roversi Giusti e malacopia
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