Prendete un uomo, un mercante, un armatore ricchissimo che per i casi (s)fortunati della vita cade in disgrazia. Prendete lo stesso uomo, padre di due racchie, avide e antipatiche (ma qui non troppo, forse per il bisogno di “novità” degli sceneggiatori. Ammazza!), di una figlia, la più piccola, la cocca di papà, bella di nome Belle (e qui la fantasia si spreca), dolce, premurosa, vitale, ottimista, solare (che ci sta sempre bene), e tre figli maschi, di cui uno scialacquatore e un po’ furfantello e due completamente e assolutamente inutili ai fini della storia (del film). Mettete poi che la madre sia morta di parto dando alla luce proprio la bella Belle, che dovrebbe sentirsi un bel po’ in colpa. E state certi che, se all’epoca era troppo neonata per sentirsi un’assassina, qualcuno glielo rinfaccerà quando sarà grande! Infine, aggiungete un brutto ceffo con la sua ghenga di idioti, una strega, mezza buona e mezza no, una ex principessa, mezza ninfa e mezzo cervo, e un leone parlante, ottuso e prepotente come qualunque uomo ma con delle unghie orribili, che sono la parte meno francese della storia.
Ecco. Prendete tutte queste cose e agitatele accuratamente prima dell’uso e cosa avrete? Su, è facile. Avrete una storia, un racconto, una trama… Insomma, la SOLITA storia, una fiaba QUALUNQUE. Eh sì, perché se si va un po’ a spulciare su fonti (ormai) autorevoli (!) come Wikipedia, si scopre che La Bella e la Bestia è una delle storie per eccellenza, una storia con la S maiuscola, un archetipo che affonda le proprie radici nelle “…storie classiche della Grecia antica, come Amore e Psiche (e ci sta), Edipo (questa non l’ho capita, mah…) o L’Asino d’oro di Apuleio” (che però non era mica della Grecia antica ma della Roma classica!!! Va beh… la wikignoranza v’accompagni!).
Sempre da Wiki, apprendiamo che la biografia della bella Belle, che già andava di moda nel ‘500, fu edita per la prima volta da Madame Gabrielle-Suzanne Barbot de Villeneuve, ma venne portata al successo dall’aristocratica Jeanne-Marie Leprince de Beaumont, maestrina e scrittrice, che naturalmente depurò la tradizione di ogni prurito popolare (se vedeste il suo ritratto, capireste il perché). Il messaggio della favola, in qualunque delle varie versioni la si legga, è piuttosto chiaro: l’uomo è un rozzo animale e la figlia adolescente lascia la fanciullezza quando si stacca dal padre (la rosa rossa, manco a dirlo, simboleggia il prosaico mestruo).
Da allora, questa fiaba, presente anche nella tradizione italiana (Bellinda e il mostro, da Fiabe Italiane di I. Calvino), ci perseguita: a parte le numerosissime revisioni del testo, de La Bella e la Bestia esistono opere liriche e teatrali, tra le quali, in epoche più recenti, almeno una in versione musical, numerose serie televisive e, naturalmente, trasposizioni cinematografiche a bizzeffe (e che?! L’immancabile versione Disney ce la vogliamo far mancare!?). Quindi, nel 2014 esce una nuova, l’ennesima versione cinematografica e meno male perché se ne sentiva davvero il bisogno.
Di produzione francese (era ora!), del regista francese Christophe Gans, con attori francesi e paesaggi (prevalentemente) francesi, il film, francese, racconta per la X-milionesima volta la fiaba ma, stavolta, con atmosfere fantasy, che da un decennio a questa parte vanno decisamente più di moda. Senza chiaramente rinunciare a nessuna smanceria e sdilinquimento, tra costumi stupendi, nebbie e paesaggi innevati, foreste fittissime, ricostruzioni, suggestive e belle, di borghi da favola e un castello da sogni (più recenti, un po’ Hogworts e un po’ la città degli Elfi della Compagnia dell’anello), tra rose, roseti e rosari che ti pungi al solo vederli, il film, in fin dei conti, si guarda volentieri come si ascoltavano le prime note di una ninna nanna la sera quando si era piccoli. Bella la Belle, ça va sens dire, interpretata dalla bella e giovane Léa Seydoux.
La Bestia si vede poco, si intuisce, più che altro, ma fa il suo. Ma quando la Bestia ritorna uomo, ecco: NO, PROPRIO NO. Vincent Cassel recita (si fa per dire) solamente in tre scene (per fortuna) e solo per pochi brevissimi istanti ma… Anche troppo. Lasciamo perdere la faccia scimmiesca (e per il ruolo era richiesto un leone!), lasciamo stare l’espressione da cicoria appassita, lasciamo perdere anche la sua non più giovane età e l’assoluta mancanza di avvenenza giovanile, ma che Vincent si sappia almeno muovere naturalmente quando non è coperto da 3 tonnellate di peli, beh, mi sembrava il minimo. Invece no. Tempi sbagliati, mimica facciale da tubo dell’aspirapolvere, sciolto come l’iceberg del Titanic, il povero Vincent non ce la può fare in questa parte. Peggio dei cagnolini, trasformati dalla maledizione sempre in cagnolini ma deformi (giusto per abusare un po’ di computer grafica!). Diciamo che nel ruolo del principe, Vincent Cassel è davvero una bestia.
Una chiusa nostalgica: alla fine, mi è tornato in mente quando mia nonna mi sedeva a cavalcioni di una panca e mi raccontava la (solita) storia di Bellinda e il mostro… Che però, fortunatamente, non si trasformava in Vincent Cassel.
Marco Melluso per malacopia
[…] scorso due Biancaneve sbiancate, ma che dico, completamente stinte e quest’anno una bella bestiale mi hanno decisamente scoraggiato. A tal punto che quando mi sono lasciato convincere ad andare a […]