Una vita prescritta con l’indice all’inizio…
Diario del tempo: l’epopea quotidiana, scritto e diretto da Lucia Calamaro, in prima assoluta dal 7 al 19 ottobre 2014 al Teatro India di Roma.
Quando l’occupazione del tempo diventa un serio problema è lì che interviene Lucia Calamaro con il suo nuovo lavoro, prima parte di un progetto che si concluderà ad ottobre 2015. Ma già così come è, sotto forma di diario, appare abbastanza complesso e ben ricco di spunti e riflessioni. La struttura della scrittura della Calamaro è un flusso continuo della parola, il benché minimo pensiero che balena nella testa dei suoi attori viene reso tangibile nella sua drammaturgia. Parole su parole, fiumi di parole in verità, che apparentemente sembrano buttate lì, inutili ripetizioni ma che invece prendono corpo fino a raggiungere un livello di nobiltà e spessore inquietanti, via via che l’azione prende corpo. Sarebbe meglio dire, via via che il pensiero va concretizzandosi in una serie di elucubrazioni e ripensamenti che divengono lo stile pregiato, la cifra inconfondibile della drammaturgia di Lucia Calamaro.
Questo è in sintesi questo spettacolo.
L’azione prende luogo in un condominio nei pressi della Stazione Ostiense, ma potrebbe svolgersi in qualsiasi parte del mondo, dove abitano i tre protagonisti della storia. In primis Federica, che fa da collante per gli altri tre. È la più problematica, ha perso il lavoro da due anni e da due anni cerca di impiegare il tempo infinito che ha a disposizione cercando di occuparlo in tutti i modi, l’andare a correre è uno dei tanti. Rischio purtroppo non evitatibile è l’alienazione dovuta a questa condizione frustrante, l’abulia, che ne scaturisce e che si legge in oggi azione che compie (o non compie), è devastante; il delirio del pensiero è più veloce della parola stessa, o peggio ancora di un idea. Il pensiero si fa parola ed il suo contrario, sovrapponendosi drammaticamente.
Vicino di casa è Roberto, impiegato costretto dalla ditta presso cui lavora ad un part-time e che, per arrotondare, elenca e trascrive per conto dell’inps materiale e depliantistica. Terzo elemento è una supplente volutamente precaria con un esame imminente sulla teoria di Jacques Lacan.
Questi tre personaggi sono accomunati da una tragica necessità di gestire un esistenza resa inutile da uno stato di cose che impone precarietà e follia per mancanza di posti di lavoro.
Sembrerebbe un omaggio proprio a Lacan con la sua notoria teoria su lalangue; laddove questi personaggi non parlano, sono parlati, abitano le loro stesse parole, sono la parola stessa. Come se protagonista fosse la parola e non chi la proferisce. Non accade molto. Ma è la parola che accade, che si impone per necessità a sé stessa. La parola sopperisce ad un bisogno di riempire vasi vuoti, incomprensioni comunicanti, probabilmente a volte letali.
È uno spettacolo contraddittoriamente lacaniano, quando la contraddizione acquisisce una ragione fino a diventare addirittura una necessità poetica. Non percepirsi nell’accadere, essere accaduti e la serata procede così senza cedimenti. Lo spettacolo è un continuum che potrebbe durare all’infinito e senza intoppi. Quanto quel tapis roulant che la protagonista aziona può avere svariate velocità e durare il tempo che si vuole.
Alla dirompente drammaturgia si aggiunge un terzetto di attori eccellenti, generosi e autentici nell’essere quella cosa e non un’altra, di essere lì e non altrove, nel darsi senza risparmio alcuno. Federica Santoro è l’omonima Federica, infaticabile, fisico asciutto, faccia spigolosa, volto scavato (tra l’altro insignita di Premio Ubu 2012 come miglior attrice non protagonista proprio per un altro spettacolo della Calamaro). Inespressiva ma allo stesso modo una tavolozza inesauribile su cui si possono mischiare un infinità di colori; rallenta e accelera il suo discorso come vuole, corre, fa streching, si rilassa si occupa, di giardinaggio, intanto parla, che in realtà è la sua attività primaria. Impagabile.
Le è compagno di scena altrettanto munifico, sornione e disperato: Roberto che su 50 flessioni ne riesce a fare solo 33, Roberto Rustioni abita il corpo di un impaziente, di un intollerante, di un uomo grigio – cosi come è tutto il suo apparato scenico – stanco e deluso. Conclude il terzetto l’autrice nel ruolo della precaria che interviene a gamba tesa, sportivamente parlando, con determinazione nella seconda parte della partita sostenendo i colleghi e alleggerendone il tono, Lucia Calamaro che in quel viaggio che fa con la sua condomina Federica vanta tutta la sua comicità surreale.
Allestimento a tutto spazio sul palcoscenico dell’India giocato sulla cromaticità di colori tenui e delicati con un chroma key mutuante che fa anche da elemento scenico.
Mario Di Calo per malacopia
Diario del tempo: l’epopea quotidiana
Prima parte, in due atti.
scritto e diretto da Lucia Calamaro
con (in ordine di apparizione) Federica Santoro Roberto Rustioni Lucia Calamaro
disegno luci di Gianni Staropoli – realizzazione scenica di Barbara Bessi – assistente alla regia Elisa Di Francesco
consulenza artistica Alessandra Cristiani – direttore tecnico Andrea Berselli
Produzione Teatro di Roma e Teatro Stabile dell’Umbria
in collaborazione con PAV e Rialto Sant’Ambrogio con la partecipazione del Teatro Franco Parenti
Foto Alessandro Carpentieri
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