C’era una volta, tanto tanto tempo fa, un tuttofare che odiava il Natale.
Lavorava in un grande supermercato e un giorno, con grande tristezza, mise sul calendario una croce che indicava che era iniziato il periodo delle feste natalizie.
Il direttore del supermercato, per incrementare le vendite, aveva pensato a nuove meravigliose strategie, prese diritte diritte dal settore marketing. Dopo un paio di tentativi falliti, tra cui il ricorso alla mafia Russa, decise di optare per qualcosa di un po’ meno drastico e più tradizionale, e asaune un babbo natale per attirare i bambini e soprattutto i portafogli dei loro genitori. Ma siccome gli attori costano, decise di “reimpiegare” forza lavoro disponibile in loco.
Fu così che, con la promessa di straordinari pagati, di un aumento in busta paga di ben 15 centesimi e, addirittura, di un venerdì libero al mese, convinsero Edoardo, il tuttofare, a indossare una orrida barba finta, una vecchia palandrana rossa e a fingere di essere il gioioso “PaponeNatalone”, ché “santaclaus” era un marchio registrato e nessuno vuole bordello a natale.
“Oh oh oh” rideva gioioso Papone\Edoardo, mentre dentro di sé avrebbe solo voluto avere una motosega. La fila di piccoli mostri urlanti sembrava infinita, e la pausa un miraggio lontano.
L’unica che sembrava divertirsi in mezzo a quell’inferno psichedelico era Giennifer, l’addetta al reparto make-up, riciclata biecamente come truccabimbi.
E poi arrivò lui. “Oh oh oh, mio piccolo bambino, cosa posso portarti per natale?”
“Intanto chiaviamoci subito villico: io non la conosco, quindi questi usi giacobini del tu sono fuoviluogo. Mi chiamo Avistide Pavnassius III Casazzi-Waldembuvg, viscontessino di Val della Sovba, e tu non hai mai avuto il piaceve.”
“Oh oh oh, mi perdoni Eccellenza. Mi dica: cosa gradisce che io le porti?”
“Ovbene, buon uomo. Sicuvamente non ci sono dubbi che sia io che lei conveniamo che codesta è una finzione che portiamo avanti per fare felice mia madve. Lei puvtroppo è nata plebea e quindi come tale soggetta alle cvedulonerie popolavi. Pevtanto la mia lista vegali compvende una masevati e un’autista nuovi (ché quelli vecchi si sono votti durante la gava di covsa clandestina fatta l’altvo giovno), poi un paio di pacchetti azionari della appel – diciamo 1500 – e una bottiglia di dom pevignon del 1845 (che quella vecchia l’ho consumata facendo la spuma dal finestrino duvante l’ivvuzione nel vifugio pev senzatetto per far capire ai poveri chi è che comanda).”
Prima di te “avidità” era una parola di sette lettere. “Vedrò cosa posso fare piccino. Auguri.”
Disgustato, PaponeNatalone andò in pausa pranzo con Giennifer. Mentre in sala mensa mangiavano il cotechino con il purè (ed essendo natale, questa volta in mensa aveva fatto il purè con le patate vere) e bevevano un buon tavernello del 1994 (con solfiti e metanolo in abbondanza), il tuttofare si trovava a pensare a come i bambini di oggi fossero diventati così vuoti e sterili. Provò a chiedere a Giennifer cosa lei ne pensasse. La ragazza lo fissò con aria assorta e poi proruppe in una risatina. “Non chiederlo a me, io sono una ragazza”. Papone rimestò lentamente il pranzo. Giennifer gli aveva appena dato la risposta definitiva.
La musica degli altoparlanti continuava a imperversare con le stesse quattro musichette delle feste. E mentre un orrido adattamento in chiave rap di “tu scendi dalle stelle” funestava l’area, si ricominciò con il turno del pomeriggio. Papone, fuori dalla uscita di sicurezza, spense l’ultima cicca, si stropiccio il pancione e si preparò per altre 6 ore di risate finte, moccoli al naso e richieste asarde.
Seduto sullo scranno da PaponeNatalone, il tuttofare si apprestava all’ondata di bimbi idioti, quando dal fondo della stanza vide arrancare un ragazzino. Avanzava lentamente, con il bastone bianco che fendeva l’aria. Il cappotto frusto, troppo grande per lui, lo rendeva ancora più gracile ed esile di quanto già non fosse. Il cappellino di lana, rattoppato alla meglio, calava sulle orecchie a sventola. Sotto il cappotto, una camiciola sottile e una sciarpetta lo riparavano con scarissimo successo dal freddo.
Arrivò sulle ginocchia di PaponeNatalone, rantolando.
“Cosa posso regalarti per Natale, bambino?” chiese con voce incerta Edoardo tuttofare.
“Oh non credo che sia il caso di sprecare un regalo per me. -COUGH-Ho la tubercolosi, la scoliosi, sono cieco, ho il gomito della lavandaia e tra qualche mese mi sfrattano ma non è un problema quello, perchè il medico dice che comunque non vedrò l’anno nuovo a causa di quella brutta cardiopatia. -COUGH- Non voglio nulla per me, nulla di materiale, ma ho un solo sogno, uno soltanto. Vorrei fare una foto con PaponeNatalone, in modo tale che la mia mamma, quando non ci sarà più, avrà una foto di me sorridente mentre abbraccio PaponeNatalone”.
Il tuttofare rimase sconvolto da questa richiesta. E perfino Giennifer perse il suo ottuso entusiasmo. Lievi lacrime le solcavano la fronte: alla scuola di Make-up le avevano insegnato a piangere al contrario per non rovinare il rimmel. Con mani tremanti Giennifer fece la foto ricordo per il bambino.
IL bambino prese la foto come se fosse la cosa più preziosa del mondo, abbracciò PaponeNatalone e Giennifer e poi, sempre arrancando, andò via.
Andati in pausa, i due non potevano fare a meno di parlare fitto fitto del bambino. “C’è ancora speranza nel mondo”, disse PaponeNatalone.
“Per il mondo si, per quel bambino no” disse Giennifer, asciugandosi una lacrima dalla fronte. Lei era così. Inconsapevolmente maligna.
“Beh magari arriva il miracolo del Natale. Lascia, offro io”, disse PaponeNatalone, cercando il portafogli e non trovandolo. “Merda, mi deve essere caduto.”
“Lascia faccio io” disse Giennifer, ma si rese conto che anche lei non aveva più il portamonete.
Mezz’ora dopo, la guardia giurata disse loro che erano vittime di Jimmy-faccia-di-topo, un mariuolo di 35 anni che sfruttava il suo rachitismo per spacciarsi per un orfanello e depredare così ignari passanti. Era una leggenda nei centri commerciali.
“Fantastico” pensò PaponeNatalone. “Peggio di così come potrebbe andare?”. La sua risposta prese forma nell’untuoso vicedirettore, un brufoloso ventenne arrivista, che si materializzò alle sue spalle, comunicandogli che il direttore voleva vederlo.
“Edoardo” esordì con un sorriso che non si estendeva agli occhi il direttore del supermercato. “Ho saputo di quello che è successo oggi.”
“Eh, lo so, ma sono cose che succedono, e poi non avevo molti soldi nel portafogli”
“Ma che cazzo stai a dì? Mi risulta che oggi il viscontessimo Aristide Parnassius III di Casazzi-Waldemburg si è servito da noi.”
“Si eccellenza. Mi ricordo bene di lui.”
“Anche lui si ricorda di te. E si è lamentato per il tuo operato.”
“Ma come? Sono stato gentile e a modo con lui.”
“Non hai capito. Quando Il viscontessino chiede qualcosa, gliela si dà subito.”
“Eh, ma io una maserati dove la trovo? “
“Nel reparto auto. Devi capire che i Casazzi-Waldenbrug sono proprietari del 45% della nostra catena. Ogni loro richiesta è un ordine. Il viscontessino aveva chiesto la tua rimozione, anche fisica, ma sono riuscito a placarlo. Ovviamente verrai sanzionato, quindi avrai una decurtazione della paga. E niente straordinari. E ovviamente, ci aspettiamo che per il megaevento di Pasqua, Tu accetterai pro-bono di interpretare “Winky-winky” il coniglietto sbarazzino che poi verrà bersagliato con uova marce dai bambini. Puoi sempre rifiutarti, ma ti voglio solo ricordare come con la crisi sia difficile reinserirsi dopo un licenziamento nel mondo del lavoro.”
Dopo aver firmato una liberatoria, in cui sollevava il supermercato da ogni responsabilità in caso i pargoli confondessero “uova” e “sassi”, il tuttofare si diresse mestamente verso casa sua. Salì le scale, si tolse l’orrida palandrana e avviò meccanicamente ad ascoltare la segreteria telefonica.
“Edoà, sono ‘a mamma. Intanto, auguri di buon compleanno. E comunque non ti scordare che alla vigilia devi portare per la cena di Natale lo spumante buono, che zia Maria ha fatto gli struffoli e con lo spumante sono la morte loro. E comunque ricordati che devi portare anche a Zio Peppino che sennò non ha come venire. E poi porta anche un paio di bottiglie di cocacola che così non stiamo stretti. Ci sentiamo domani che ti do le altre indicazioni. Ah si porta i soldi di cambio per la tombola. E non fare sempre tardi, che poi a zio Cosimo gli passa la fame e ci scassa le palle a tutti se mangiamo fuori orario. Ti voglio bene a mamma.”
Meccanicamente, Edoardo si sollevò dal divano, guardò il calendario e andò all’armadietto dei medicinali. Ancora 10 giorni. Quaranta gocce di lexotan ogni giorno lo avrebbero aiutato.
“Oh oh oh, buon Natale”, esclamò allo specchio buttando giù l’intruglio.
Del resto, anche PaponeNatalone ha bisogno di farsi un regalo di tanto in tanto.
Francesco Castiglione per malacopia
Illustrazione di Loris Dogana
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