Amore e resti umani, regia di Giacomo Bisordi al Teatro dei Conciatori di Roma
Ci sono diverse parentele fra Le cinque rose di Jennifer del 1980 di Annibale Ruccello e il testo di Brad Fraser, scritto nel 1989. Le due storie ruotano difatti entrambe intorno ad un vero o un presunto serial killer, che angoscia e perseguita i protagonisti. Tuttavia, non è solo questo ad accomunarle: nel monologo di Ruccello si parla di un quartiere dove i travestiti vengono relegati per poi essere sterminati da un presunto o vero assassino; in Resti umani non identificati e la vera natura dell’amore i protagonisti si relegano volontariamente intorno ad un sentimento perduto e ricercato come l’amore per poi auto estinguersi.
In realtà la fortuna teatrale e cinematografica dell’autore canadese di Edmonton nasce proprio intorno a Resti Umani non identificati e la vera natura dell’amore. Si conoscono altre sue produzioni ma il testo suo che più lo rappresenta è forse questo. In Italia si deve la sua conoscenza al costante genio ricercatore di Elio de Capitani e Ferdinando Bruni che lo misero in scena in quel che fu (e che non è più) Teatro di Porta Romana di Milano nel lontano ottobre 1992, con interpreti che ora sono realtà ben note nel panorama teatrale italiano.
In questi giorni, invece, a riportarlo in scena è Giacomo Bisordi in una nuova versione, redatta dall’autore stesso con un nuovo titolo, Amore e resti umani, realizzata sulla base di una nuova traduzione per l’Italia, molto scorrevole e asciutta nella sua frammentarietà, di Cosimo Lorenzo Pancini per conto della Barbaros Teatro nella persona di Cristina Poccardi, che è anche l’intensa interprete di Benita.
Amore e resti umani racconta di quel che resta di un umanità alla deriva. I personaggi, ossessionati e deliranti, pur di tenersi aggrappati ad una ragione di vita, desiderano ardentemente amare ed essere amati, ma finiscono in questo caso per celebrare solamente un funerale all’amore, un inno probabile e forse necessario, alla fine imminente. E quel serial killer, che apparentemente uccide non lontano da loro, si scopre essere un elemento determinante all’interno di quel piccolo microcosmo costituito dai protagonisti di questa interessante storia. Storie apparentemente slegate che via via si ricollegano fra loro: nessuno è gay professionalmente e fare i camerieri è molto più soddisfacente dal punto di vista artistico che fare l’attore, essere sposati è come essere un orso in gabbia allo zoo, a cui si impedisce di cacciare, corollario di frasi ad effetto per testimoniare l’ardente desiderio di autolesionismo e autodistruzione.
Lo spettatore si trova di fronte a una fauna di individui teneri ed allo stesso modo atrocemente cinici e aggressivi: si va dal gay impenitente David (Massimo Odierna) al barman Robert dal passato determinante (Luca Mascolo), dall’incerto e travagliato Bernie (Dimitri Galli Rohl) a sua moglie, visionaria e ambivalente Benita (Cristina Poccardi), da Jerri, teneramente intraprendente (Cristina Mugnai) a Kane, sprovveduto affettivamente (Francesco Sferrazza Papa). Ma colei che forse più ricerca una stabilità sentimentale nella sua confusione ma che si ritroverà a fare i conti con quel che resta di quel suo amore sconfinato è Candy, interpretata da Valentina Bartolo.
Illuminati lateralmente solo da quattro tartarughe, come fossero delle lampade dei fratelli Castiglioni, gli attori – sette interpreti d’eccezione – ben diretti da Giacomo Bisordi, spesso nudi integralmente, commuovo e divertono. Il corto circuito che scatta dall’incontro di questi straordinari portavoci di una verità essenziale crea un teatro di una purezza disarmante. Gli interpreti si muovono in un Teatro dei Conciatori sventrato, arredato solo con una pedana-armadio-bara da cui estrarre indumenti per i cambi scena o l’oggettistica necessaria e in cui all’occorrenza sparire quando si ‘esce’ di scena o tragicamente dalla vita.
Questo incredibile materiale, apparentemente datato, Giacomo Bisordi sembra guardarlo attraverso un microscopio, una lente di ingrandimento – e lo specchio orizzontale che percorre tutta la scena e che rifrange il futon/letto/ring lo testimonia. Ci porta all’attenzione la fragilità di ogni singolo personaggio, come se prendesse le distanze, consapevole delle difficoltà epocali che rendono quasi un impresa donchisciottesca potersi rimboccare le maniche e riscrivere una nuova etica dei sentimenti, un nuovo alfabeto. Ma almeno bisogna provarci.
Alla fine, sparsi per il palcoscenico giacciono abiti sgualciti, corn flakes calpestati, lattine di birra smezzate, oggetti vari sparsi. La battaglia è finita e la vita può ricominciare.
Mario Di Calo …per malacopia
Barbaros Teatro presenta Amore e resti umani di Brad Fraser
Traduzione di Cosimo Lorenzo Pancini
con Massimo Odierna, Valentina Bartolo, Dimitri Galli Rohl, Cristina Poccardi, Luca Mascolo, Cristina Mugnaini, Francesco Sferrazza Papa
Regia Giacomo Bisordi
Musiche originali Mirko Fabbreschi
Impianto scenografico Paola Castrignanò, costumi di Roberta Goretti
Teatro Dei Conciatori di Roma, in scena fino al 16 Marzo 2014
I costumi sono di Roberta Goretti. Grazie!
Grazie Roberta! Ci scusiamo per la mancanza. Abbiamo provveduto immediatamente 😉
Grazie della bellissima recensione, grazie di essere venuti. Un bacio