CACCIA ALLE UOVA DI PASQUA
dal nostro corrispondente a Londra
Mi son sempre chiesto come gli italiani immagino la Pasqua inglese. Ora che ci penso, non l’ho mai domandato a nessuno…
A dire il vero, le differenze non sono così grandi: in Italia ci sono le uova di cioccolato o di zucchero, in Inghilterra pure; l’Italia è un tripudio di immagini di prati fioriti e pulcini ed l’nghilterra pure; in Italia è di rigore la scampagnata, in Inghilterra il picnic; in Italia vanno forti le colombe ed a Londra… No! Gli inglesi preferiscono i coniglietti di Pasqua!
Tu – cioè io, che ai tempi delle elementari vivevo a Trani e passavo la settimana di vacanza di Pasqua a Londra dai nonni– spereresti di trovare lì un clima mite e di passare giornate divertenti all’aria aperta in polo a maniche corte e saltellare allegro tra cuccioli pigolanti, fiori ed uova colorate. Ebbene, no. Ricordo la profonda delusione di trovare un clima più freddo di quello della Puglia (quindi niente braccia scoperte), quasi sempre piogge o nuvoloni (quindi niente scampagnate o pomeriggi nei parchi, niente anatroccoli -né brutti né belli- o pulcini in cui imbattersi, niente fiori da raccogliere; niente di niente). Insomma, una sorta di febbraio decorato, ma senza ragione, a motivi primaverili.
Passata l’iniziale immancabile delusione, i giorni che precedevano Pasqua venivano impegnati nell’addobbo della casa dei miei nonni a Knightsbridge. Al mercato di Chelsey andavamo a comprare ghirlande di lavanda e mazzi di narcisi per rendere il salotto dei nonni il più simile possibile ad un prato. I pomeriggi li passavamo a dipingere dozzine di uova sode “per far trovare casa allegra al Coniglietto di Pasqua”.
Ora, si tramanda che questo cavolo di coniglio nasconda le uova di pasqua nel giardino -a patto che ti sia comportato bene- e che tu in uno stato di euforia le vada a cercare sotto i cespugli o sotto gli alberi. La versione pimpata dai miei nonni voleva che noi dovessimo far trovare casa allegra e festosa a questo mangiacarote pretenzioso per convincerlo a lasciarci delle uova di cioccolata.
Insomma dipingi e colora, colora e dipingi, e ancora e ancora. Ciononostante, ‘sto Coniglio non si riusciva mai a vederlo, finché mio fratello ed io – credo fossi in quarta elementare e lui in terza- un anno ci rifiutammo di metterci e dipingere uova per un coniglio scostante e irriconoscente. “Quest’anno il Coniglietto ha promesso di fare colazione con noi” ci disse seria la nonna per convincerci, e noi, ancora una volta, giù a far fiorellini sulle uova.
La mattina di Pasqua aspettavamo con la solita ansia l’arrivo della guest star. Ad un certo punto, spuntò mio nonno a tavola con un cesto al braccio e dentro un grosso coniglio bianco con un fiocco azzurro al collo e – se non ricordo male – una campanella. Io e mio fratello ci mettemmo ad urlare di gioia.
“Evviva! Evviva!” strillavamo in coro mentre correvamo verso il nonno. Sarà stato il nostro eccessivo entusiasmo a disturbare l’aplomb del british bunny – non so- fatto sta che il tenero animale fuggì a zampe spiegate dalla cesta e si mise a correre verso mia nonna. Questa –più paurosa di un coniglio- si spaventò a sua volta e, cercando di evitare la caduta, si afferrò alla manica del vestito di mia madre che si squarciò, lasciandola sbracciata da un lato. Al che, mia mamma, sbilanciata, urtò il tavolino su cui da tempo viveva la sua vita da soprammobile un simpatico quanto inutile pesce rosso. La boule cadde e finì sul piede della nostra tata, che lanciò un urlo di dolore. Mio padre, attirato dal trambusto, giunse di corsa con gli occhi sbarrati e inciampò in uno sgabello, rotolando sulla tavola imbandita. La tavola – sospetto per non rimanere esclusa da questo trambusto – si piegò su un lato, facendo finire per terra la nostra colazione.
Ecco come in meno di cinque minuti la sala da pranzo si era trasformata in un campo di battaglia in cui feriti, contusi, pesce rosso, uova sode, coniglio terrorizzato, manica strappata, piatti e pietanze si chiedevano cosa fosse accaduto. Al centro della sala, io e mio fratello, in piedi, impietriti, scoppiammo a piangere. Tutti scattarono in piedi e, come se niente fosse successo, sfoderarono 36 denti di sorriso forzato nella speranza di farci smettere.
Ancora oggi, durante le riunioni di famiglia, questa è quella che, tra risate come pazzi, viene ricordata come la Pasqua Del Coniglio.
THE EASTER RABBIT
from our correspondent in London
I have always been wondering how do the Italian imagine Easter in the UK. Now that I am thinking about it, I have never asked it anybody…
To say the truth, there are no big differences: in Italia there are chocolate or sugar eggs and in England they have them too, in Italia it’s all about blooming lawn and newborn chicks and in England too, in Italia the must is having a picnic and in England too, in Italia “Colombe” (the dove-shaped Easter pastries) go strong but in London…no! The Brits prefer Easter Rabbits.
You- that’s to say me, as at the time of primary school I was living in Trani and was used to spend the Easter week in London at mygrandparents’ – would expect a mild weather and the chance to spend pleasant days at open air in a short sleeved poloshirt and jump around among chirping chicks, flowers and coloured eggs. Well, no. I remember well how disappointing was to find a colder weather than the one I had left in Puglia (so no bare arms), very often cloudy and rainy days ( so no picnics or strolls in the parks, no ducklings -either ugly or beautiful- and no chick to drop into), no flowers to pick; not a thing). In short, a sort of February decorated, for no reason, in spring motifs.
After the early delusion had faded away, we used to spend the days before Easter in sprucing up my grandparents’ flat in Knightsbridge. We used to go the market in Chelsey to buy lavender wreaths and bunches of daffodils to make their parlour the more similar possible to a lawn. We spent our afternoons painting dozens of hard-boiled eggs to ” make the Easter Rabbit find a happy place”.
Now, they say that this damn rabbit hides chocolate eggs in the garden and you are supposed to jump around in a state of euphoria while looking for them under bushes or trees. The version pimped by my grandparents implied that we should make our home a marry and happy place for this pretentious carrot-eater to persuade him to leave us some chocolate eggs.
So, paint and paint and on and on. Neverthless, this Rabbit never appeared and one year my brother and I – i think I was in the fourth course and he in the third- refused to paint eggs for that unfriendly and ungrateful rabbit. “This year the Easter Rabbit promised to take breakfast with us” our grandmother told with a serious tone to persuade us and we, one more time, went again on painting flowers on those eggs.
The morning of Easter we were waiting for the arrival of our guest star in anxiety. At a certain point,our grandfather came out holding a basket in his arms with a big white rabbit inside. It had a blue ribbon around its neck and – if I remember well- a bell. My brother and I started shouting with joy.
“Hurra! Hurra!” we shrieked together while running to our grandfather. Maybe our excessive enthusiasm upset the aplombe of the Brit Bunny, the fact is that the tender wad of fur excaped from the basket and ran away towards my grandmother.
She- more scary than the rabbit- got scared in her turn and, trying to avoid a fall, grabbed the sleeve of my mother’s dress ripping it off, leaving my mother sleeveless at one side. Then my mother lost here balance and bumped into the small table in top of which a nice and unuseful goldfish was living since ages.
The boule fell down on the left foot of our nanny, who screamed in pain. My father heard all that fuss and arrived, wide-eyed, in a hurry. He stumbled in a stool, rolling on the lavishly decked table. The table – I suspect it didn’t want to be excluded from that chaos- keeled over, spreading our big breakfast on the floor.
This is how in less than five minutes the dining room turned into a battlefield in which the victims, the injured ones, the goldfish, the coloured eggs, the terrified rabbit, the torn sleeve, plates and dishes were wondering what had happened.
In the middle of the room, my brother and I, stood petrified In a while we started crying. Everybody pulled up like nothing had happened with a wide forced smile, hoping to make us stop.
Even today, in our family reunions, this is the event that ,with our great amusement, goes under the name of ” the Easter of the Rabbit“.
Marcantonio Posa per malacopia
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