Salv’attutti pipòl, spagnoli e non.
Espellendo debolezze liquide nel bagno di un bar della mia tomba universitaria, mi sono accorta che, nonostante il mio metro e abbastanza di altezza, riesco ancora a ritrovarmi a sbattere i piedini come quand’ero fanciulletta. Poi ho pensato che sarebbe stato meraviglioso, se non addirittura salubre, riprendere le redini della mia vita e mettervi al corrente di cose più edificanti di questa.
Approfittando di quel magico momento in cui tutti diventano più buoni ed io vado in cassa integrazione dal mondo per diretta conseguenza di ciò, me ne sono andata al cinema a vedere “The Imitation Game”.
The Indipendent lo apostrofa come “miglior film inglese dell’anno”, ma ovviamente a voi non interessa un tubo dell’Indipendent finchè parlo io – che sono affidabile per natura. Comunque, io lo apostrofo come una suprema figata.
Tralasciando il fatto che come protagonista ci sia colui del cielo ministro eletto (alias Benedict Cumberbatch, alias mio consorte – sebbene lui lo ignori), la storia è decisamente avvincente: tratto da una storia vera, la pellicola si sviluppa sui piani durante e post seconda Guerra Mondiale.
(attenzione segue spoiler) Manchester, 1951. Le autorità britanniche effettuano un sopralluogo nell’abitazione del matematico e crittografo Alan Turing per furto. E invece lo sbattono dentro e lo interrogano per “pubblica indecenza”. Per essere andato con uomo. Così, tout court. Simpatizzi per le carote? Gattabuia! Il concetto dell’essere conrnuto e mazziato.
Senza sapere che il quarantenne, un po’ affettato e scontroso, non solo avesse largamente contribuito a stabilire le sorti del conflitto ma sarebbe anche diventato il padre della computistica moderna.
Ma facciamo un passo indietro.
1939. Turing è un uomo difficile, una specie di idiot savant con un amore tanto sconfinato per i numeri quanto un cordiale odio per la convivenza sociale; il classico genio che a scuola era torchiato in ogni modo possibile ed immaginabile. Un calco di Sheldon Cooper oltreoceano ante litteram imprigionato in completi di tweed grigio fastidio.
Presuntuoso, introverso, permaloso e -diciamocelo- un po’…Ciòdo. (Qui il vernacolo finisce per essere decisamente risolutivo. Mi spiego meglio: da me, nell’estremo Oriente, una persona può essere definita come ciòdo non per analogia fisica a quei simpatici oggetti che nella vita quotidiana, se impiantati nei muri, servono a tenere su i quadri o che nei testi scolastici sono la causa primaria del tetano, bensì quando questa è introversa, scarsa o priva di senso dello humour, un po’ ottusa e soggetta a gaffes – “figure da ciòdo”, appunto. Chiusa la nota Doge&Co.)
Docente universitario di matematica, viene chiamato dal comandante Danniston (un impeccabile Charles Dance, Lord Tywin Lannister con le mostrine, per farla spicciola) per prendere parte ad un collettivo di cervelluti formato da una plurilaureata esperta in enigmistica, un linguista, uno studente, un campione di scacchi e un capo dell’intelligence che ha come ingrato compito quello di decifrare Enigma attraverso un macchinario inventato da lui. Tutti lavorano alacremente come formichine mentre lui è ritirato in un angolino da solo, inizialmente odiato da tutti. Perché lui è assolutamente certo che Christopher, il suo progetto, il suo diletto meccanico a cui riserva cure e fatiche quasi paterne, andrà alla perfezione.
Perché come lui stesso afferma con candore meritevole di badilata sul coppino, “lui risolve problemi”. (No, scusa un minutino, ciccio… Ti credi il signor Wolf?)
Ma cos’è Enigma? Un disturbatore della quiete pubica. Un immenso, fastidioso, urticante mazzo di pungitopo infilato nella mutanda-Ragno dell’Europa: una macchina usata dai nazisti per scambiarsi informazioni militare in maniera segreta. Cose che noi tutti faremmo ogni giorno, dopotutto. Una volta imparato a decifrare la ricetta del medico di base, chi non riuscirebbe a decriptare la macchina più potente del mondo?
Turing è una specie di martire esemplare: solo, senza famiglia né amici e dotato di una mente straordinaria, è la vittima perfetta che immola la propria ingegnosità per la salvezza mondiale. Perché l’ “imitation game” non è solo il gioco di espedienti per arrestare Enigma; non è solamente la vita sotto copertura delle persone coinvolte in questa missione. È l’intera, claustrofobica esistenza del protagonista, costretto a vivere imitando e decifrando i codici sociali in un contesto dove le sue capacità, atteggiamenti e preferenze non vengono compresi. Letti. Decriptati, se volete. Sono solo delle disobbedienze alla normalità ed al buoncostume, le stesse “disobbedienze” che hanno salvato il derrière all’Inghilterra in tempo di magra alle quali la bienséance restrittiva britannica volta gratuitamente le spalle.
Quando sono partita con l’idea di andarmi a vedere questo film, ero quasi certa di potermi godere qualcosa di decente. Non mi aspettavo assolutamente di rimanere incollata alla poltroncina (con tanto di artiglio conficcato nel bracciolo e bulbo oculare edematoso in perfetto stile dott. Jekyll) per tutto il tempo.
Andate!
Ite, picciotti. Che “missa est” ma, soprattutto, ne vale la pena.
Chiara “Chiappa” Lazzaro per malacopia
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