Perché certi profumi o certi sapori ci piacciono, e altri li troviamo disgustosi? A parte le variazioni soggettive, esiste una certa universalità innata nelle preferenze sui gusti. Ad esempio a tutti i bambini già da neonati piace il dolce o il salato, e tutti fanno smorfie di fronte all’amaro o all’aspro.
Il motivo è da ricercarsi nell’evoluzione, quello strumento fantastico e per certi versi semplicissimo che ci permette di comprendere perché gli esseri viventi sono quelli che sono.
Il dolce è associato allo zucchero, e quindi alle calorie. I frutti dolci sono anche energetici. Il salato invece implica la presenza di cloruro di sodio, minerale fondamentale per l’equilibrio del nostro organismo. Viceversa molte piante tossiche sono amare, mentre l’aspro è spesso il gusto del cibo andato a male, e quindi pericoloso da ingerire. E allora come ha fatto l’evoluzione a farci piacere il dolce e il salato e storcere la bocca con l’amaro o l’aspro? Il meccanismo è molto semplice, ed è quello alla base dei fenomeni evolutivi.
Prendiamo due nostri progenitori del passato, uno con una casuale passione per i cibi amari, e quindi rifiuto dei cibi dolci, e uno con una altrettanto casuale propensione per i cibi dolci e disgusto per quelli amari. Centinaia di migliaia di anni or sono andavano nei boschi e si cibavano di quello che trovavano. Ma siccome il dolce fornisce in genere calorie tramite lo zucchero, e quindi sostentamento per l’organismo, mentre l’amaro è a volte sinonimo di veleno, è chiaro che il secondo tra i due aveva in media maggiori probabilità di sopravvivenza del primo.
E maggiore probabilità di sopravvivenza significa maggiore probabilità di procreare e quindi comunicare alle generazioni successive i suoi geni, ovvero quei geni che gli facevano preferire cibi dolci e detestare i cibi amari. E quindi, con il tempo, la popolazione si sarà arricchita di individui con la caratteristica di preferire il dolce e rifiutare l’amaro, non perché i nostri antenati si sono fatti piacere il dolce e detestare l’amaro, ma perché un corredo genetico che avrebbe fatto preferire gusti opposti rappresentava un handicap, uno svantaggio che rischiava di non farti arrivare all’età riproduttiva, e quindi impedirti di tramandare i geni. Il punto cruciale dell’evoluzione è tutto qui: no geni giusti, no party! Hai i geni che ti fanno amare l’amaro e detestare il dolce? Peggio per te! Rischi di schiattare prima di arrivare a riprodurti! E il risultato è che quelli con i geni giusti, che quindi avevano minore probabilità di rimetterci le penne, arrivavano a riprodursi in maggiore quantità degli altri, incrementando quindi la popolazione umana con i geni “buoni” a scapito dei geni svantaggiosi.
La stessa cosa avvenne con l’aspro. Un corredo genetico che casualmente provocava disgusto per l’aspro era un fattore vantaggioso rispetto a geni che invece, sempre casualmente, lo facevano preferire. Il risultato è che, essendo l’aspro spesso sinonimo di avariato, l’uomo primitivo che si tracannava avidamente un cibo aspro aveva maggiori probabilità di ingerire un cibo pericoloso per la sua salute, con il risultato di rischiare di non poter trasmettere i suoi geni (un eufemismo per dire che rischiava di schiattare prima di arrivare all’età riproduttiva). Aspro è anche sinonimo di non-maturo, e quindi con basso contenuto di zuccheri. Il discorso in ogni caso non cambia: chi preferiva cibi aspri era svantaggiato.
Un esempio facile facile per capire come funziona l’evoluzione? Immaginiamo un mondo in cui il sostentamento per vivere si ottenga facendo canestro a basket. Ogni canestro fatto è una maggiore probabilità di sopravvivenza. Cosa pensate che possa succedere a questa popolazione di ipotetici umani dopo un po’ di generazioni? Semplice: che saranno tutti alti! Di bassi, con buona pace per loro, dopo’ un po’ in giro non se ne vedranno più, perché i geni vincenti, quelli che danno maggiore probabilità di arrivare a procreare, sono quelli degli individui alti.
Io trovo che l’evoluzione darwiniana sia straordinaria per la sua semplicità concettuale. È straordinaria perché ci mostra una natura che, sebbene sia chiaramente priva di alcun fine nei suoi meccanismi, è stata in grado di regalarci un mondo semplicemente fantastico.
Stefano Marcellini per malacopia
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