La prostituzione è una delle attività più antiche del mondo, anche perché si basa sul semplice principio della”minima spesa” (in attrezzature, s’intende!), “massima resa” (ricavo netto!).
Al giorno d’oggi, se ci si aggira per Bologna di notte o di giorno, si intuisce che la prostituzione si è ridotta ad un semplice scambio commerciale e nulla più. Nel Rinascimento, invece, pur mantenendosi fermo il semplice scambio, le categorie che si offrivano al piacere retribuito erano molto più ampie ed articolate.
In un censimento della città di Roma, fatto ai tempi di papa Leone X, le “ cortigiane” (che nome grazioso!) venivano distinte in varie categorie: “cortesana puttana”, “cortesana da lume”, “cortesana da candela”, “cortesana da gelosia”. Ciò dipendeva dal modo in cui si esibivano: va da sé che le meno appetibili e fascinose preferivano la luce tremula del lume o della candela e quelle proprio “per nulla appetibili” badavano bene che nella stanza regnasse solo la scarsa luce che penetrava attraverso le persiane a strisce.
Esisteva poi un’ultima categoria, quella delle “cortigiane oneste”. L’accostamento tra il sostantivo “cortigiana” e l’aggettivo “onesta” suona oggi piuttosto assurdo, quasi eccentrico, ma nel non era così nel 1500. Per spiegarne i motivi occorre dare un’occhiata alla vita sociale di quel tempo.
Nel Rinascimento la donna aveva fatto il suo ingresso nel mondo della cultura (ovviamente si parla delle donne dell’aristocrazia e dell’altissima borghesia) e le cortigiane, chiamate a vivere in una realtà che teneva in gran considerazione la cultura, capirono che essere colte poteva costituire un segno distintivo di gran valore (oggi si direbbe un notevole “quid pluris”). Le cortigiane, quelle più rinomate per la loro bellezza ma non solo, vollero essere all’avanguardia, “considerando anche che quella che si fosse serbata digiuna di ogni studio, che avesse mostrato di avere scarsa inclinazione per la poesia e scarso gusto d’arte, avrebbe avuto una attrattiva di meno”, rispetto alle altre (A. Graf, Attraverso il Cinquecento, Torino 1888, 22).
Modello di cortigiana elegante e compita era considerata, ad esempio, una certa Zufolina (nomen omen!), descritta dall’Aretino, il quale asserisce, tra l’altro, che “i Duchi e le Duchesse se intertengono con lo intrattenimento delle sue chiacchiere…molto appetitose”.
Sempre Pietro Aretino, nella sua commedia Talanta, scrive: “…che le ribalde (cioè le cortigiane) si danno a grattar l’arpicordo, a cicalar del mondo et a cantar la solfa, per assassinar meglio altrui; e guai per chi vuole udire come elleno sa ben suonare, ben favellare e bene ismusicare”. L’Aretino – si sa – non era certo un grande estimatore né delle donne, né delle cortigiane. Non c’è infatti motivo di non credere che queste ultime, figlie del Rinascimento, al pari di tante gentildonne onorate, si dilettassero a leggere libri, a comporre versi e a coltivare la musica, oltre che per “farsi un nome”, anche per piacere personale.
Ecco. Anche oggi esistono varie categorie di “cortigiane”. Ma è dura credere che quelle che frequentano i palazzi del potere difficilmente investono qualche soldo in cultura per… “farsi un nome”!
Rossana Conte
…for malacopia
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