Le tre Grazie obese passeggiano per la spiaggia ogni giorno, alla stessa ora, in su e in giù. Basta vederle assieme per capire che il dna non è un’invenzione, perché sono precise precise, solo di età leggermente sfasata: la prima cinquantenne, la seconda quarantacinquequenne, la terza una trentina. Oltre che la progressione dell’età sono un esempio di progressione della ciccia, che è ancora giovane e strabordante nella trentenne, più consolidata a zone nella seconda, compatta come uno scafandro nella terza.
Passeggiano parlando fitto fitto e ridendo con la risata acuta delle scolarette che si raccontano chissà quali segreti, mentre i rotoletti di cellulite sobbalzano a ritmo, così che la loro passeggiata è tutta un ponfettìo di risata-sobbalzo-risata, ipnotico per chi le guarda e per chi le sente.
Sono magnifiche, le tre Grazie obese: così tonde e rubiconde come statuette di Botero danno subito alla battigia un tocco di arte moderna che nessuna magra emaciata che fa jogging sotto il sole per sconfiggere l’etto in più potrebbe dare mai. Divinità preimordiali, la loro ciccia è l’esplosione del mondo appena nato, e non a caso è accompagnato dalla risata, perché, come tutte le dee arcaiche, con la risata creano il mondo.
E così passeggiano, incuranti dei loro chili di troppo, e degli sguardi di riprovazione degli scheletrici fanatici che ogni tanto le incrociano e vorrebbero metterle in imbarazzo per quelle cicciosità che escono dal costume, per la pancia che straborda, per i fianchi che non si lasciano contenere dagli elastici degli slip, per i cosciotti e le cavigliotte e le gambotte tozze come colonne doriche, per le natiche arcaiche e per le tette generose. Ma loro di quegli sguardi umani così pieni di risentimento se ne fregano. Sono dee, del resto.
…spiaggiatamente vostra
Mariangela Galatea Vaglio per malacopia
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