Lo so, è scorretto mischiare, solo per gioco, i titoli di due libri così diversi tra loro, ma l’eccezione è consentita quando in comune c’è la buona poesia ed una profonda amicizia tra le autrici: Francesca Del Moro e Martina Campi, due poetesse dalla sensibilità e dal gusto poetico molto diversi tra loro, ma che hanno partorito due opere egualmente intense e potenti.
Martina è ragazza minuta e sorride spesso. I suoi versi sembrano essere stati composti in un tempo unico, antico, e solo in seguito affidati ad un’esplosione primordiale che li potesse allontanare gli uni dagli altri, quasi ad obbligare il lettore ad usare il proprio corpo e la propria anima per rimetterli insieme e in questo modo riscoprirsi un tutt’uno!
Francesca, invece, sembra quasi adottare il meccanismo opposto. Ovvero richiamare l’universo intero in un solo punto, in quel punto esatto su cui si concentra la sua poesia; ed allora l’amore, la morte, l’odio e l’abbandono non sono più concetti astratti attorno a cui orbitano le nostre vite, ma si fanno materia di densità infinita per diventare poi, nei suoi versi, sassolini piccoli piccoliche uno dopo l’altro Francesca si toglie dalle scarpe.
E se i versi di Martina vi mettono in moto alla ricerca di una personale unità, quelli di Francesca vi inchiodano lì dove siete. In entrambi i casi sarete, comunque, soli con voi stessi. Sarete dispersi nelle Estensioni del Tempo di un universo dilatato oppure vi librerete in mezzo alla gente come Gabbiani Ipotetici: per districarvi da quei versi avrete bisogno solo di voi stessi… e di nient’altro.
….Ed allora incontriamole queste due poetesse (ora va di moda dire poete, ma no, su questo non mi avrete… oh toh.. ho anche fatto la rima!) e facciamoci raccontare qualcosa:
Qual è il primo ricordo che avete l’una dell’altra?
Francesca: Ho visto Martina per la prima volta nell’autunno del 2011, in occasione…
(fine prima parte)
———– TO BE CONTINUED WITH… con l’intervista! ————
Alessandro Brusa for malacopia
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