Due ore prima è crollata sul letto, compressa in un sonno accigliato. Si è svegliata più stanca di prima, con gli occhi dolenti. Forse ha la febbre. Allo specchio del bagno si vede pallida. Si sciacqua la bocca con cautela e beve. Cerca una sigaretta nel cassetto. Ce n’è una mezza spezzata dentro l’astuccio con le matite. Sa già che le farà schifo ma l’accende, tenendola stretta attorno allo strappo.
Cosa le ha detto? Di un’ora di parole le è rimasta una sola, irritante definizione: maestrina stronza.
Cammina prudente lungo il piccolo salotto, fino alla finestra. Le piace l’insegna della Coop, gigante e rossa. C’è del succo di mele in bottiglia a tre euro, limpido. Due mesi fa, solo due mesi fa, l’avrebbe preso dal frigo e avrebbe commentato insieme a lui la sua dolcezza, l’opportunità di averne sempre due bottiglie in casa. Lui ama quel genere di abitudini che diventano argomenti di cui parlare. Di fatto, lui ha provato a trasformare la sua vita in piccoli, insignificanti quadri, di quelli che hanno bisogno della didascalia sotto.
Ecco perché maestrina: aveva usato contro di lui la parola didascalia, non immaginandosi che avrebbe scatenato una vendetta precisa e diretta contro tutti i suoi gattini di porcellana. Ventisette piccoli assassinii, conclusi in minuscoli frantumi. Lei gli ha buttato in faccia la verità, è questo il problema. Ecco perché stronza. Certo, non è facile accettare di essere uno che non ha prospettive al di là delle proprie aspettative, che non sa immaginarsi oltre, che vive in una bidimensionalità asfissiante. Uno che pur di non affrontare la sua vita, banalizza chiunque.
Strappare tende e spaccare piatti è la sua risposta? Le ha distrutto la casa. E non è tanto sano nemmeno dire che lei non è stata capace di salvarlo. Cosa c’entra lei con la sua frattura, con il suo dito storto, con il suo cazzo di violino, con la sua carriera spezzata? Cosa si aspettava da lei, da una maestrina stronza: che gli raddrizzasse le falangi?
Spegne la sigaretta sul davanzale e cammina tra i gatti assassinati. Stavolta li sente rantolare sotto le pantofole. La sigaretta spezzata, la prima dopo quasi tre mesi, la disgusta e al contempo la riempie di una dolce nausea. Si blocca sulla porta della cucina. Il frastuono è ancora lì, come una nuvola trasparente che la spinge indietro, insieme al sudore buttato, alla carne calpestata. In bocca la sensazione di avere un ragno che le mastica gli avanzi.
Può spazzare via tutto. Fare sparire tutto. E poi che farà la maestrina stronza? Starà tutta la sera con la mano davanti la faccia? Sua madre non è mica cretina. E in ogni caso busserà tra qualche minuto, verrà a cercarla tra le sue macerie.
Che differenza c’è tra uno schiaffo e una casa distrutta? Quel che doveva andare nella merda ci è andato comunque. E adesso, mentre pesta anche i resti dei piatti, ha pure voglia di un’altra sigaretta.
Andrea Meli per malacopia
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