Cosine robette, Bio Parco del Cavaticcio, mercoledì 6 giugno ore 21.
Senza sapere nulla dello spettacolo in questione – non conosco né l’autore, né gli interpreti – sono arrivata a questa sorta di “reading” con l’innocenza di un bambi ingenuo e “antintellettuale” che, più che altro, voleva curiosare tra i banchetti di birra artigianale e arrosticini di contorno al Bioparco del Cavaticcio, davvero molto scenografico e di atmosfera (per dire parole a caso).
E dunque, mi sono imbattuta in Cosine Robette, una pièce per “grandi e piccini, dai 7 ai 107 anni”, come è stato presentato. A dire la verità, mi è sembrata tutto tranne che una “cosa” per bambini. Pierre Notte, un tuttofare francese molto vivo e molto vegeto, “autore, attore regista, romanziere, poeta” and so on, è vicino al materiale fiabesco da dove parte la sua osservazione della realtà quanto lo può essere un Tim Burton o un Terry Gilliam – non nella realizzazione estetica, ma nella capacità di capovolgere e stra-volgere la morale del mondo infantile e farne messaggio e senso per un mondo adulto.
Tre attori in campo, bravissimi – Angela Malfitano, Francesca Mazza, Roberto Latini (soprattutto Angela Malfitano, una caratterista impressionante) – e, sullo sfondo, i disegni di Ericailcane ci fanno entrare nei nove pezzi scelti popolati da uomini ed animali.
Si parte dal leone imprigionato su un piedistallo che fa amicizia con un bambino molto annoiato e solo, disturbati dall’incombere di una signora che odia i bambini e ama l’opera lirica e la cultura in quanto status symbol (finchè restano lettere morte, inerti “pezzi da museo”) e proprio non le va giù quell’umanissimo e dolce leone che cerca di stabilire un legame personale.
La storia più scioccante è incentrata sul sovvertimento del tradizionale incontro tra lupo e bambino, dove di solito è la bestia ad avere la meglio, mentre qui finisce tra le fauci assai più affilate del cucciolo d’uomo, che giustamente qualcuno considera l’animale più feroce della terra. Con tocco ironico e grottesco, il bersaglio, sempre centrato da Pierre Notte, sono tutte le comuni ideologie di questi tempi. Ad esempio, nella farsa antimilitaresca la zebra e il prigioniero di guerra, che paiono simili solo per il pigiama a righe che “indossano”, alla fine si innamorano, quando il prigioniero di guerra capisce che può essere per qualche altro uomo qualcosa di diverso rispetto al nemico. O come nel quadro del gatto e dell’agente di polizia: anche quest’ultimo talmente impegnato a fare del suo lavoro il senso della sua vita che finisce per arrestare prima il felino e poi addirittura il sole, con effetti ovviamente tragicomici, che si risolvono nell’unico modo possibile, arrestando se stesso e la sua follia.
E via così. Ogni quadro propone l’eterno dualismo tra ciò che ci viene richiesto di essere – belli come principi e principesse, efficienti nel nostro lavoro come possono essere le macchine, dotati di buonsenso anche quando è illogico – e ciò che siamo oppure possiamo essere, se solo riusciamo a capirlo. Sembra il senso di una psicoterapia. Il bello è che ce lo raccontano delle fiabe un po’ strane in una bella notte di giugno.
E, alla fine, da spettatori si può fare il gioco di “quale storia ti è piaciuta di più?”. (A me quella del leone e del bambino. Quando la signora acida monta sul piedistallo e diventa una rigida statua, che non riuscirà più a liberarsi perché “di pietra e di gesso è fatto il suo cuore”, a differenza di quello vivo e pulsante del leone).
Nicole Pilotto
…for malacopia
per le foto, si ringrazia Bio Parco 2013
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