Nella biblioteca del mio palazzo mentale oltre a mangime per piccioni, truciolato in esubero da rivendere all’Ikea in nero utilizzando come intermediario un senatore nativo dei Bruzii che trovo tanto simpatico quanto tremendamente ebete, muffe di varia natura e scartoffie ricolme di stupidaggini (mia madre ha sempre sostenuto che il disordine mentale si rifletta in quello reale; temo che il fatto che nel mio armadio sembra sia stato tenuto un convegno clandestino sui Raudi non faccia che avvalorare la sua tesi; mi tocca quindi dar ragione alla vecchia saggina. Prosit) ci sono molti altarini: uno di loro è dedicato a Demis buonanima.
Poco più di un un mese fa ero a casa, in cucina, con la compagnia della radio; per mia fortuna, si è sempre molto tenuto conto delle trasmissioni a frequenza audio. Ed è stata proprio lei a comunicarmi la dipartita di Demis Roussos: si spegne a 69 anni in una clinica di Atene, malato di tumore da tempo. Sottofondo brevissimo, tanto per fare le cose apparentemente bene, regalato dal pezzo “Rain and Tears”.
Mia madre, fagiana di mezz’età e reperto dei Ruggenti: “No, ma aspetta…questa canzone! Ma è il greco..Coso, Roussòs?” Per “coso” credo intendesse un pionere della world music, un uomo dalla voce inconfondibile ed evocativa ed una figura teatrale ed iconica di un’epoca. Riconosco di avere dei gusti musicali “da solaio” – ho una brutta tendenza alla cleptomania: non avendo una mia gioventù che possa essere ritenuta soddisfacente, rubo quella degli altri, eppure sono rimasta amareggiata dal fatto che ad un grande protagonista musicale degli anni ’70 e contribuente del progressive rock internazionale come lo è stato Roussos con gli Aphrodite’s Child siano state accennate poche scarne righe (nulla togliendo, eh, ma a Pino Daniele si voleva dedicare una piazza. Almeno la par condicio). Da principio, ritengo opportuna una piccola rassegna delle truppe: – quante mani alzate per Blade runner? – quante per lo spot Barilla dell’ anno domini 1985 fatto a synth? – quante per una limonata spinta in una 127 negli anni di piombo con l’intro languido di un organo Hammond? (Io non c’ero, ma c’ero.) Perfetto, perchè sono sicura in qualche modo di aver carpito la vostra attenzione – soprattutto per la 127. Perchè questi esempi di frammenti per lo più “quotidiani” che vi ho proposto sono legati agliAphrodite’s Child; il tema finale del film campione d’incassi, Hymnee It’s Five O’ Clock è tutto merito loro: Vangelis Papathanassiou, Lukas Sideras, Demis Roussos. È il 1968. Anno di lotte studentesche, di femminismo, l’aria di primavera odora di fiori e rivoluzione. Tre giovani musicisti Greci -omen nomen? L’avreste mai detto?- abbandonano la madrepatria nel mese di maggio e cercano fortuna nella Swingin’ London; ottengono un’audizione alla Mercury Records e con essa la proposta di un azzardo musicale da parte del produttore: “Non è che vi andrebbe di riadattare in chiave moderna, se non addirittura pop, il canone in Re maggiore di Pachelbel così gli leviamo di dosso quella patina da matrimonio cattolico?”. Viene così alla luce Rain and Tears, colonna sonora del Maggio Francese: otto battute al clavicembalo come segnalibro inconfondibile nella storia. 60 milioni di dischi venduti, un successo dopo l’altro: brani splendidi come Spring Summer Winter and Fall, Marie Jolie, End of the World e Lontano dagli occhi (già brano di Sergio Endrigo) album spettacolari nonché veri e propri vessilli del prog come 666. Tutto procede a gonfie vele, almeno fino al ’71: è l’anno dei dissapori all’interno della band, il tastierista Vanghelis si dichiara stufo delle strutture semplici mentre il bassista e voce Roussos è ancora interessato allo sviluppo di quella miscellanea di rock e folklore ellenico. La disgregazione ormai è alle porte, così le strade si dividono: Vanghelis si lancia sulla composizione e sulle colonne sonore (i più blasonati sono Momenti di Gloria, Alexander, Anctartica e Blade Runner come ho già accennato), Roussos diventa solista (segnalo We Shall Dance e Forever and Ever). La band è da ritenersi una sorta di cometa: durata pochissimo, ma lasciando un fulgore denotabile. Ma nella cultura musicale odierna cosa rimane di quel giovanotto robusto e bruno dall’aria un po’ melanconica, le sopracciglia spesse e la stempiatura ben più che accennata con quella maniera di abbigliarsi tra l’eccelso ed il kitsch, a metà fra una statua ed un chiromante? Con quelle tuniche, la barba fitta e lunga (quasi sintomatica di una ) e quegli sguardi penetranti? Di quel “greco nato in Egitto e vissuto dappertutto, apolide della musica”?. Tendenzialmente poco; il lavoro frutto della svolta solistica è stato decisamente proficuo negli anni ’70 ed ’80 (Festivalbar e molte hit in classifica, da come recitano le mie fonti) eppure sembra essere caduto nel dimenticatoio – forse complice discutibile il fatto che fosse di indole tranquilla. Nonostante il suo ultimo lavoro sia uscito nel 2009, chi non se l’era completamente scordato forse è memore di aver ricevuto un hint dei bei tompi andeè grazie ad una trasmissione su Rai Uno appositamente creata per il recupero di vecchie glorie (mattatore quel diavolo caramellato di Conti). Personalmente mi ritengo in un certo qual modo favorita dalla sorte perchè, magari non essendone del tutto consapevole all’epoca, questa voce caratteristica mi ha sempre accompagnata -volente o nolente- sin da quando non ero ancora in grado di assillare gli amenicoli altrui a 370°; attestato di merito va a mio babbo – grazie alla sua… ostinazione? – mi ha effettivamente permesso sin dal principio di considerare qualcosa che permeasse degnamente il senso del pentagramma oltre all’ Albero Azzurro (del quale, tra parentesi, ero una fan accanitissima) e qualcosa di vagamente somigliante a delle grate. Direi che posso concludere qui la mia pappardella. Demis, mio confortevole rifugio durante tragitti in macchina… Quanto mi dispiace. Se penso che il patrimonio musicale è in mano a degli idioti del calibro di Bieber… Ah, ragazzi, portatemi in mezzo ai pascoli e abbattetemi, please! Chiara Chiappa Lazzaro per malacopia
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