Seguiva con la coda dell’occhio quella bambina che correva guardando nella direzione opposta alla sua marcia. Si fermava. Guardava avanti, ed appena ripreso il ritmo della corsa tornava a voltarsi all’indietro, noncurante di qualche panchina sporgente o di qualche sasso sotto i suoi passi. Poi la voce annuncia l’apparizione di una figura adulta verso la quale correre senza più voltarsi indietro.
La certezza di allontanarsi, in attesa di mutare direzione. Proprio come la parola “sguardo” che le era sempre piaciuta: una di quelle parole che con la esse davanti non si priva di vitalità, al contrario ne implementa il dono in fascino, cura, dettaglio.
L’incanto scocca dagli occhi incastonati nei visi gioiosi e si fa sguardo immediato, fuoco istantaneo all’ingresso nel campo visivo della figura amata.
Poco più avanti, appoggiati allo stesso albero due sguardi affaticati logorati appesantiti da tonnellate di aspettative mai colmate, sguardi in frizione carica d’attrito con origini diverse e le medesime borse piene di “tu non capisci”. L’uno si è fatto carico di tutto provvedendo sempre prontamente, l’altro ha rinunciato al suo libero arbitrio chiamandolo amore.
Sguainava il suo sguardo sguinzagliandolo cercatore. Veloce repentino, guardingo da animale predato. Gli guardò le mani e la giacca pensando di trovare un binocolo, qualcuno o qualcosa da spiare. Nulla che facesse presagire una caccia al tesoro di qualsivoglia entità. Così assente a se stesso dal temere un predatore pronto ad attaccarlo al garretto saltando felino dal prossimo cespuglio.
Sguardi che generano turbamenti. Giochi di sguardi per aver inteso il contesto prima degli altri interlocutori, giochi di passione camuffati da innocenti occhiolini, giochi ormai riposti nella confezione austera e blindata, destinata a prendere polvere fra i ricordi e la cantina del cuore.
Pensava di averla fatta franca che almeno stavolta, in esilio dal suo affetto, il suo sguardo di ordinaria cortesia potesse esimere il suo cuore dal tumultarle in petto e renderle il fiato corto. Apnea rassegnata all’inevitabile era quel che restava dell’ultimo lancio di dadi andato male decretando la fine di ogni sguardo da giocare ad occhi chiusi e baci intensi. Beveva con gli occhi il dettaglio circoscritto nello specchietto, pochi secondi e poi click, dritte le sue pupille fin dentro l’anima.
Ora come allora e per sempre: il suo semplice guardare le scaverà l’anima col cucchiaino come quel primo sguardo nel tempo infinito di un battito di ciglia.
Irene Spadaro per malacopia
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