L’impossibilità fisica della morte nella mente di un essere vivente
Damien Hirst e il controverso caso dello squalo da 12 milioni di dollari
Quando nel ‘600 Rembrandt dipinse un bue squartato, la reazione degli spettatori dell’epoca doveva essere su per giù la stessa che gli spettatori contemporanei hanno di fronte ad un’opera di Damien Hirst. Ma non tutti sanno chi sia questo strano personaggio che cavalca la scena artistica contemporanea, la cui arte è costruita su una forte tensione fra la vita e la morte.
Damien Hirst è l’uomo che ha cambiato il concetto di cosa sia l’arte. La sua carriera comincia mentre studiava al Goldsmiths College di Londra, quando – si dice – gli viene assegnata come sala espositiva una camera mortuaria, circostanza che, neanche a dirlo, ha influenzato molto la sua carriera a venire. La sua fortuna è legata a un altro grande nome della storia dell’arte, il collezionista Saatchi che, vedendo in lui fin da subito del potenziale, gli finanzia nel 1991 l’intero costo di realizzazione di una delle opere più controverse della contemporaneità. L’idea di Hirst di creare un’opera che abbia come soggetto uno squalo viene dallo stesso spiegata in un’intervista nella primissima edizione di «Frieze»:
”Mi piace l’idea di qualcosa che descrive una sensazione. Uno squalo fa paura, è più grande di te, si muove in un ambiente a te sconosciuto. Sembra vivo quando è morto e morto quando è vivo”.
Ovviamente non fu il primo ad esporre uno squalo morto; prima i lui Eddie Saunders aveva esposto un pesce martello dorato nel suo negozio di elettricista nel 1989, due anni prima di Hirst. Successivamente lo squalo di Sauders viene messo in vendita per la cifra di un milione di sterline, con una pubblicià che dice:
”Saldi di fine anno: squalo per un milione di sterline soltanto; risparmiate 5 milioni di sterline sulla copia di Damien Hirst”
(cosa che riceve un forte impatto mediatico, ma nessuna proposta di acquisto).
Ma torniamo allo squalo di Hirst: c’è una storia bizzarra (e molto controversa) dietro quest’opera.
Nel 1991 Damien Hirst contatta diversi uffici postali delle zone costiere dell’Australia, che a seguito della sua chiamata espongono dei cartelli con scritto «Cercasi Squalo», e recano il suo numero di telefono di Londra. Di fatto, lo squalo non è stato catturato dall’artista stesso, bensì da un pescatore locale che per questa operazione chiede all’artista la cifra di 6000 sterline: 4000 per la cattura e 2000 per imballarlo nel ghiaccio e spedirlo a Londra via nave. All’arrivo della nave a Londra, la situazione che si è creata è simile a quella della Factory di Andy Warhol: una vera e propria catena di montaggio si è adoperata per la ”costruzione” dell’opera sotto la meticolosa supervisione di Hirst. Lo squalo viene imbalsamato e messo in una teca piena di formaldeide. I problemi non tardano ad arrivare: nel 1992 il processo di decomposizione si manifesta sullo squalo che diviene verde e raggrinzito, la pinna cade e la soluzione di formaldeide nella vasca diventa torbida. Nel 1993 viene rimossa la pelle dallo squalo e tesa su forma di fibra di vetro appesantita, ma lo squalo rimane, per forse per protesta, verde e raggrinzito. Lo squalo va sostituito! Hirst si mette nuovamente in contatto con il pescatore che ha catturato lo squalo in precedenza e questa volta si fa spedire 5 squali diversi. Ne arrivarono 6 (uno in omaggio). Viene modificato il processo di conservazione e oggi possiamo guardarci l’opera, nonostante le forti opposizioni dei curatori, degli animalisti e di alcuni critivi.
L’intenzione dell’artista è quella di creare l’illusione di uno squalo tigre che nuota 0attraverso i bianchi spazi della galleria, in cerca della sua cena. Che potrebbero essere, ironia della sorte, lo stesso Hirst e i suoi spettatori. Forse, in fin dei conti, allo squalo di Hirst potrebbe essere andata meglio che a vari cavalli di Cattelan!
Valerio Vitale
Qui per saperne di più (in inglese)
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