I consigli di William Shakespeare.
Nel mare magnum dei social, se ne vedono di tutti i colori: fervidi intellettuali, romanzieri instancabili, poeti romantici, dandy, principesse sul pisello, pie donne, acque chete, gatte morte.
Uno dei personaggi più affascinanti è il domatore di indomite bisbetiche.
Lo riconosci subito. Bastano poche battute.
Un’affascinante figura antropomorfa metà uomo, metà John Wayne, il divino.
Rendersi interessanti per intrecciare empatie, tessere i fili di elettive affinità, non è mai cosa semplice. La cosa diventa complicatissima quando si decide di addomesticare una gatta selvatica per trasformarla “in una mansuefatta gattina”, per dirla con le parole di William Shakespeare.
Anche una gatta selvatica si riconosce subito. Dotata di un’intelligenza vivace e di irriverente ironia, ha la capacità di mandarti a fanculo, come se ti stesse invitando a Gardaland, sulle montagne russe. I suoi post sono artificiosi, pungenti, scazzati. Celano messaggi subliminali di non facile comprensione, ma di chiaro indirizzo. Crea spunti interessanti, su argomenti di vario genere, argomenta con astuzia, alimenta conversazioni con spessore, tramortisce con femminilità.
Al contrario di quanto possano pensare le principesse sul pisello, l’indomita bisbetica, alias la gatta selvatica, gode dell’interesse smisurato di molti maschietti. Primi tra tutti, i domatori. La conquista diventa un rebus da sciogliere, una matassa da sbrogliare, una battaglia all’ultimo sangue. E mentre i paracadutisti statunitensi si lanciavano in efferate battaglie, al grido di “Gerooonimooo”, il più famoso dei capi Apache, il domatore si muove quatto quatto tra le chat al grido “Non esiste una che non te la dà. Basta prendersela”.
Detta così, sembra quasi che questi domatori siano rozzi, primordiali. Invece, il leitmotiv ha un intento pedagogico, educativo: “Adesso ti insegno le buone maniere. Ti faccio vedere come ci si comporta. Ti domerò, ti ammansirò, ti…” (immaginate il seguito!).
La donna bisbetica, così, diventa la più alta fonte di ispirazione per il domatore, che sfoggerà gli eleganti virtuosismi della strategia chiamata “bastian contrario”, il 4-3-3 del perfetto stronzo. La strategia segue uno schema semplice, ma efficace. Si intrufola in conversazioni pubbliche rinnegando il suo credo e la sua indole. Con il diavolo, si accorderebbe per trovare un modo di arrivare alla meta. Spietato.
Più acido di una femmina con l’utero di traverso, più fastidioso di graffio sulla lavagna, più insidioso dello stridulo di una civetta, commenta impavido dandole torto su tutto. Tutto, ma proprio tutto. La guerriglia infiamma fra tesi ed antitesi. La sintesi si nasconde nella chat. “Ma che cazzo vuoi?” chiede lei. “Niente, esprimo il mio parere. La libertà di pensiero è in vigore anche nel tuo pianeta?”, risponde lui temerario. “Fottiti”, tronca subito lei. “Fottiti tu, strega inviperita”.
Diventa subito un gioco a chi ne sa di più. Sembrano due deficienti, eh? Eppure, non esistono grandi amori che non siano nati da una corsa rincorsa nel prato, da uno spruzzo di acqua sulla maglietta, da un litro di olio fritto caduto sui jeans appena comprati, un battibecco in chat.
Laddove due fuochi divampanti si scontrano, consumano l’oggetto che alimenta la rispettiva furia. E se è vero che anche un fuocherello diventa grosso con un po’ di vento, è pur vero che le potenti raffiche spengono fuoco e tutto. Tal sarò io con lei; e dovrà cedere.
Petruccio, capostipite dei domatori, nell’opera di Shakespeare, sembra proprio essere il Messia. Adesso che lei ha abboccato in chat, che lui è riuscito ad aprirsi un varco, a schiudere le veneziane per far passare un po’ di luce, come farà il nostro eroe a concretizzare il piano, a centrare l’obiettivo, ad espugnare la fortezza?
Dati statistici, riferiscono che il 90% dei domatori di indomite bisbetiche non lo sa. Il suggerimento arriva da Petruccio stesso:
La voglio corteggiare a modo mio; se poco poco sbraita, le dico con il massimo sussiego che canta dolce come un usignolo; se fa la faccia arcigna, le dico che ha la faccia d’una rosa lavata dalla guazza mattutina; se invece mi fa il muso e resta là senza parola, mi metto a elogiare la sua duttilità nel conversare, e a dirle che fa prova d’una eloquenza viva e penetrante; se m’ordina con tono perentorio di far bagaglio e togliermi di mezzo, le dico “grazie” con un bel sorriso, come se invece m’avesse pregato di restare suo ospite gradito; se, infine, alla richiesta di sposarmi m’oppone un bel rifiuto, non faccio altro che pregarla di fissar lei la data delle pubblicazioni per le nozze e quella della lor celebrazione.
Come sia finita la storia è noto ai più: Amore s’impadronì all’improvviso di Caterina e i due si sposarono. Ma Petruccio non si accontentò di farla capitolare, non ebbe pace finché non gli diede pan per focaccia, applicando la strategia del perfetto stronzo. Si presentò al matrimonio in ritardo, sporco e vestito di stracci. In niente, si trasformò in un bifolco, di quelli che sbraitano per la minestra poco salata e mettono le mutande bianche nel cesto dei panni colorati.
Ma voi che siete pronti a domare indomite bisbetiche, sareste capaci di rendervi immuni dagli effetti collaterali di Amore? Tranio, servo di Lucenzio, sostiene: “L’amore non si sradica dal cuore coi rimbrotti e se amore v’ha colpito, non vi resta da far altro che questo: Rédime te captùm quam queas minimo”.
Tradotto in soldoni. Bisogna documentarsi, pure per essere stronzi.
…amorevolissimevolmente
Laura Naimoli per malacopia
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