Catatonico. Impreparato a quel terremoto che ha fatto crollare ogni cosa. C’è silenzio ora, nessuna voce, nessun rumore. Qualcuno ha levato l’audio alla vita. Sordo di dolore a malapena respira. Il cuore, quello sì, continua a battere forte come dopo una fuga improvvisa. Primavera che piomba al suolo cadavere e si fa glaciale inverno. Non fuori, ma dentro. Un treno passa veloce e tira dritto senza fermarsi. Passeggeri dagli occhi serrati rifuggono quelle macerie di qualcosa che fu grande. Il bombardamento d’aria lo investe. “Sì, andatevene! Non guardate questa tragedia!”. Urla col pensiero mentre il vento artificiale si smorza e le erbacce cresciute in mezzo al pietrisco dei binari si rialzano e ripuntano al cielo. E lui? Lui no. Rimane così, piegato su se stesso senza muoversi, scioccato dagli eventi, pietrificato dal colpo.
Una mano conosciuta si muove vicina. Lo cerca. Tocca il suo braccio. D’istinto si ritrae, non la vuole su di sé, lo disgusta. La mano scompare. Sollievo.
Il sole brucia sulla banchina. Una goccia di sudore scivola pigra dalla nuca. Lentamente i rumori tornano a ridare vita alla vita. I passi di chi viaggia, il chiacchiericcio di ubriachi, gli annunci degli altoparlanti, l’impazienza dei taxi, la musica di un cellulare, giovani voci gioviali e scherzose. Poi i colori. Scarpe dai lunghi lacci corrono e vanno. E per ultimo quel respiro soffocante e invadente della persona accanto a lui. Vorrebbe scappare. Ma da cosa?
La persona è a disagio, cambia posizione sulla panchina. Devono essere lì da molto, sente le natiche indolenzite dall’immobilità. Finalmente lo fa, solleva la testa e la vede. È lei, la sua ragazza, la causa di quella tragedia. Si passa la lingua fra le labbra secche più della bocca, asciutta da essere amara. Lei ha un fremito, cerca il suo sguardo con discrezione, con un filo di voce parla: “Non…”. ‘Non’ cosa? Cosa sta per dire? Dallo sguardo di lei comprende che la sua deve essere la più triste espressione che lei abbia mai visto. Inspira profondamente, trattiene il fiato. Era stata lei a dire qualcosa e a ridurlo così. Una punta di curiosità si fa breccia nel suo stato di choc. Vuole vederci chiaro in questa faccenda così terribile da farsi dimenticare. Richiama tutto il coraggio che ha e la invita con un cenno del capo, vuole sapere. Ora è pronto, non si farà sopraffare dall’emozione. Stringe la mascella preparandosi a ricevere il colpo. Di nuovo.
Lei sorride, si mette dritta sulla schiena e gli offre il suo busto. Prende fiato e: “Ti giuro, non volevo fare quel graffio”.
Lui la guarda torvo, serra le palpebre per trattenere il pianto, ecco cosa lo aveva tanto sconvolto. Inspira profondamente e le dice: “Basta, è finita”.
La ragazza si mortifica le dita e con gli occhi gonfi di lacrime sussurra: “Vuoi… vuoi lasciarmi?”.
L’uomo si alza in piedi e allunga la mano con il palmo rivolto verso l’alto: “No. Ridammi le chiavi, non guiderai mai più la mia auto”.
Simone Romano
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