Il viaggio delle bottiglie vuote
di Kader Abdolah
Iperborea 2001
Bolfazl è un persiano, esule politico in Olanda: il paesaggio, gli abitanti, la lingua gli sono ovviamente estranei, ma, al senso inevitabile di alienazione, si unisce una sua ferma volontà di integrarsi nella nuova realtà, senza perdere il contatto col mondo che si è dovuto lasciare alle spalle. Impara, quindi, l’olandese, lavora nelle fattorie vicine, si fa conoscere per la sua cortesia e la sua buona volontà.
Il primo amico è il vicino di casa René : un omosessuale che è stato sposato, ha avuto una figlia e adesso cerca un’identità nuova attraverso un viaggio che finirà col perderlo. Bolfazl partecipa con discrezione alle dolorose vicende dell’uomo: il passato, l’educazione avuta, se da una parte lo rendono particolarmente sensibile alle sfumature dell’altrui personalità, dall’altra gli offrono una difesa, un filtro attraverso il quale mantenere una certa distanza.
“Essendo un esule, creo strane relazioni tra le cose. O, meglio, cerco analogie tra gli avvenimenti. È sorprendente come in questo la memoria mi sostenga… A dire la verità non mi fido più tanto dei miei ricordi… E credo che il destino di un esule sia che la sua memoria lo tradisca sempre più“.
Bolfazl ha una moglie e un figlio con sé : in patria, lei aveva seguito l’attività politica del marito, obbediente e silenziosa come tutte le donne di laggiù. Ma in Olanda lei vuole il suo spazio, impara la lingua, cerca lavoro: l’uomo è disorientato e il silenzio cade attorno a lui, mentre moglie e figlio appartengono sempre più al paese che li ospita. “In realtà non desideravo altro che vivere come tutti gli altri. Avrei voluto imparare a pattinare sul canale dietro casa, cadere e rialzarmi in mezzo agli olandesi che lo facevano così bene. Ma non ci riuscivo”.
Arriva un nuovo vicino di casa, Jacobus, un macchinista delle ferrovie che ha l’hobby del radioamatore: sua moglie è una straniera, la cui solitudine aiuta Bolfazl a mitigare la propria. A poco a poco, l’esule si rende conto che la sua vita non è sconvolta, come ha creduto sinora, ma diversa.
“A poco a poco imparai a fidarmi del mio cervello. In un primo tempo pensavo che la mia fuga fosse stata un grosso errore. Che non sarei dovuto fuggire dalla mia terra, ma adesso ero giunto ad un’altra conclusione. Fuggire non era una questione di scegliere, ma di agire. È un processo che avviene al di fuori di sé. Non lo si può governare. Prendiamo una mela, prendiamo il melo: quando la mela è matura, cade dall’albero al primo soffio di vento. La colpa non esiste. La punizione un’assurdità. È il processo stesso che lo determina.
Il sole, la luna, l’albero, il ramo, la terra si riuniscono e decidono di far cadere la mela. Non potevo far altro che andare avanti”.
Bolfazl si apre alla nuova vita con la generosità e la curiosità di chi si sente di nuovo partecipe delle albe e dei tramonti, della terra e del fiume: i ricordi adesso non sono più il rifugio, il porto , ma un punto di partenza come un altro.
“La fuga non è altro che il ritorno al luogo da cui si è fuggiti. In fondo, non si fugge mai, non si fa che tornare indietro. Andarsene non esiste. Tornare sì… Io non volevo ricadere nello stesso posto, volevo continuare a crescere”.
Quello che ho riassunto è un piccolo, suggestivo libro scritto da un iraniano che, esule dal 1985 prima in Turchia e poi in Olanda, ha trovato nella lingua del paese che lo ospita un mezzo eccellente per esprimere il suo vissuto di combattente, di orientale, di uomo in fuga.
È un insolito caso, ma Kader Abdolah fa adesso parte delle voci più autorevoli della letteratura nederlandese contemporanea: un caso che merita di essere seguito.
Maria Antonietta Amico
… for malacopia
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