L’avvenente donna inglese, elegante nella sua vestaglia in seta smeraldo, spietata col mattarello, che non esita a preparare un semplice pollo arrosto “ai trentuno spicchi d’aglio” e non lesina mai in burro, panna e zucchero. L’italoamericano, che non prepara ma giudica, tirando in aria piatti indecorosi per il suo palato. Lo scalogno dipendente, che impasta tagliatelle senza farina, arriccia il naso su ogni ingrediente e si commuove davanti a frattaglie e quinti quarti. E poi ancora, la romagna impastata, impiattata e mantecata in improbabili preparazioni celebrative sotto l’egida del “tradizionale rivisitato” o “tradizione che incontra l’innovazione”, e via dicendo…
Ci sarebbe a questo punto il bisogno di scrivere un libro sui libri di cucina, e siamo già arrivati alla trasmissione delle trasmissioni: una Trasmissione sulle trasmissioni culinarie. Ma siamo sicuri che azzardare, cambiare, innovare, attiri e soprattutto funzioni? Oppure sarebbe opportuno fare un passo indietro e riprendere a cucinare come le tanto evocate nonne, che svaniscono a metà ricetta? E qui il passo si fa lungo, il fiato corto, le trasmissioni quasi assenti. Perché, tutto sommato, la tradizione e la ricchezza dei piatti italiani si basa sulla semplicità, a volte banale, eppure difficilissima. Una semplicità difficile da replicare, da rispettare.
È sulla bocca di tutti il fatto che preparare gli spaghetti al pomodoro sia una delle preparazioni più temute, perfino nella Trasmissione delle trasmissioni. Uh? Ma allora perché risottare, mantecare, soffriggere a bassa temperatura, incorporare, invece di… farlo davvero? Insomma, bollire, lessare, passare, mescolare. Semplice. Ma difficilissimo.
E qui perdiamo l’uso delle nostre tradizioni, non di quello che ci hanno insegnato, per carità, ma il vero e proprio uso di mangiare quello che mangiavamo. Di ricordare i sapori quando erano tali.
La creatività va assolutamente accolta. Ma, a mio parere, quando si tratta di idee e invenzioni, in cucina le trasformazioni possono divertire, ma non facilitare o cambiare o sostituire.
Infine, si parla di arte culinaria, e spesso le due parole “arte e spettacolo” vengono usate insieme. Ma allora la cucina, quella vera, è arte o spettacolo? Io non credo che queste due parole si amalghino bene insieme come due ingredienti.
E allora auguriamoci buon appetito, davanti ad un piatto onesto, preparato con i suoi ingredienti, e senza tante inutili sofisticazioni.
…semplicemente
Gianluca Nezzi per malacopia
Sono così tanto in disaccordo che rischio davvero di esagerare…
La domanda a cui mi piacerebbe avere una risposta è: qual è la tradizione di cui sta parlando? No, perché mia madre, siciliana come me, metteva la cannella nel ragù, perché la sua tradizione, come la mia, prevede questo. Quando io ho iniziato a leggere libri di cucina l’ho corretta dicendo “no, mamma, la tradizione italiana più antica di te, scritta nei libri di cucina, dice che il ragù è solo napoletano e si fa in un altro modo. Quello che facciamo noi è il sugo alla bolognese, e si fa anch’esso in un altro modo”. Poi mi è capitato di scoprire che la cucina non nasce a fine ‘800 ma prima, e non solo in Italia ma anche all’estero, e ho scoperto che la tradizione è così lunga e sfaccettata che non esiste.
Non esiste “LA” tradizione, esiste precisamente solo la creatività.
Ciao Claudio, innanzitutto grazie per il tuo commento! 🙂 La finalità del nostro progetto e, quindi, dei nostri post è quella di comunicare e, per far questo, usiamo e osiamo provocare! 🙂 E a volte addirittura esagerare! 🙂 E, a proposito, vogliamo esagerare al punto che stavolta siamo in disaccordo col tuo disaccordo tanto da trovarti in accordo!!! 🙂 Crediamo ti sia forse sfuggita la profonda, tagliente ironia dell’articolo di Gianluca (questa è la policy malacopia: keyword ironia!!!). E che, quindi, tu abbia espresso un pensiero perfettamente in linea con quello del nostro Gianluca. Ma a questo punto, passiamo a lui la parola 🙂
Intanto, ancora grazie dell’intervento! 🙂
…con amore
malacopia
Grazie Claudio, devo dire che sono totalmente in accordo con te. Credo che quello che viene stravolto nelle trasmissioni televisive sia un modo non corretto di evocare la tradizione. La base di Malacopia è contraddistinta dall’ironia,
e qui ho cercato di ironizzare anche la esasperazione, più che la variazione. Non credo che la tradizione in cucina non esista. Ma se per variazione, inclusa nella creatività, si intende distorcere il modus tutto di un piatto, si rischia di associare la parola tradizione (così variegata nel nostro paese come in tutto il mondo) da distorcere il gusto stesso. Rileggendo il mio scritto, mi accorgo di come calza il tuo commento. Varietà, ma anche rispetto, donando al piatto del caso gli ingredienti previsti, la variazione che lo possa valorizzare, rivalutare, e perché no condire con la giusta ironia che rende l’argomento che sia io, che tu, che malacopia, tutti i giorni ci appassiona. Grazie ancora.
Ciao Gianluca, grazie per la risposta.
Io sono un po’ suscettibile quando si parla di tradizione, per ragioni profonde che influenzano il mio approccio non solo alla cucina ma ad altri campi come l’etica, la musica, l’arte. Per far capire come la penso, uso spesso l’aggettivo post-moderno: io non sono contro la tradizione e non sono contro la modernità, per me le due cose possono non solo convivere, ma ibridarsi. Stante il fatto che, soprattutto in Italia, le persone hanno un’ottima cultura alimentare e possono scegliere cosa mangiare, cosa acquistare e cosa cucinare in totale libertà.
Aspetto altri tuoi interventi per parlare anche più nello specifico di questo mio punto di vista. Per ora rimango sospeso … e manifesto il mio incondizionato amore per Nigella Lawson e il pollo ai 40 spicchi d’aglio