Ormai la TV italiana, prigioniera dei talent show, dei fornelli e dell’inciucio, rassegnata al giornalismo pane e mortadella della D’Urso, dalla Benedetta Parodi che ha ha riscritto l’epopea del surgelato, da Cracco che guarda schifato il riso scotto della massaia di Faenza e poi gode con la patatina nazional popolare, o dalla De Filippi, che allestisce annualmente il suo esercito di avatar per conquistare l’Ariston, a volte rinasce laddove scompare la dittatura contemporanea dell’odiens e dell’atrofia mentale e trionfa l’affascinante retro.
Succede così che Iris, canale 22 del digitale, decida di rompere gli schemi della domenica dominata dal voyerismo di Buona Domenica e dalle urla gladiatorie dell’Arena di Giletti, e dedicare un pomeriggio al grande Paul Newman. Tra gli altri capolavori che la rete propone ai nostalgici del grande cinema che fu, La gatta sul tetto che scotta (1958) di Tennessee Williams.
La pellicola, diventata un film di culto, si presta ad una piacevole visione, per il suo equilibrato mix di ironia e grandi temi, dall’opportunismo e dall’avidità umana alla complessità dei rapporti familiari. In primissimo piano si porta lo scontro tra padre e i figli, antico quanto il mondo.
Un padre (Burl Ives), ricchissimo e freddo uomo d’affari, dopo un periodo trascorso in ospedale, torna a casa, convinto di aver sconfitto il male. Lo attende la sfilata di parenti serpenti: il figlio maggiore (Jack Carson) Gooper (che conosce la verità sul destino segnato del padre) e l’odiosa moglie, rossa e lentiginosa, folletto maligno delle praterie americane, allestiscono la messa in scena con il corteo dei loro figli che cantano, ballano come in un musical per impressionare il nonno, che, invece, li trova pestiferi, noiosi e rabbrividisce quando la nuora li definisce suoi eredi. D’altra parte, il vecchio ha occhi solo per il figlio minore Brick (Paul Newman).
Questi, ex campione di footbal, uomo indifferente e introverso, è sposato con Maggie (Elizabeth Taylor), detta la gatta, l’eroina nera della storia, odiata e invisa a tutti, per il sospetto di aver tradito Brick e soprattutto per essere considerata infeconda. È oggetto del sarcasmo della cognata che sforna pagnotte ogni anno, petulante fino alla caricatura di sé e ricordata miseramente solo per la sua fertilità. Maggie rivendica il suo posto nel mondo e certo anche quello che le spetta, ovvero la pecunia, sia quella mobile (il vecchio possiede terra e animali) che immobile (in quanto donna gatta ama la seta morbida, i gioielli e i profumi). Bellissima e con vitino da vespa, un seno copioso come la terra che rivendica, sfida l’ipocrisia della cognata e lo scontro è dalle prime battute impari: una gustosa aragosta contro una cozza pel di carota. E mentre le signore si dimenticano delle buone maniere e danno vita a divertenti bagarre di donne che sfociano nel cattivo gusto, quando ci si aspettano mazzate e ciuffi di capelli strappati, Brick rivela al padre la verità sulla sua prossima dipartita. Qui il culmine del film: la resa dei conti tra padre e figlio, lo scontro degli scontri. Una cantina occupata in ogni centimetro quadrato da suppellettili costose e impolverate, amarcord del viaggio di nozze dei progenitori della stirpe, diventa il ring delle parole che fanno male e possono uccidere come ogni volta che la verità le rende vere pietre acuminate.
Il vecchio non comprende le ragioni della dipendenza dall’alcool del figlio e trova ingiustificata la sua anaffettività e ,qui, inciampa nella più banale delle affermazioni dei genitori di ogni tempo, “hai avuto tutto”. Scoppia il Krakatoa e la verità prende la forma di un’invettiva che fa male e riduce in polvere ogni pilastro della filosofia del padre. Brick non nutre speranza nei rapporti umani, trova che l’ipocrisia sia il sistema di comunicazione su cui si basa il mondo. Il genitore ignorato viene riconosciuto solo come il dispensatore di beni materiali, quel tutto concesso ai figli, quelle immense ricchezze che diventano, improvvisamente, nulla senza valore di fronte alla sua assenza, alla sua ritrosia alle carezze e alla parola che incoraggia, proprio quando tante volte nella vita la terra viene a mancare sotto i piedi di un figlio.
L’affetto, certo, che banalità, che sorta di filosofia etica senza senso, che inutile invocazione di fronte ai dollaroni sonanti, a quell’immenso che può comprare tutto persino le persone. Questo il pensiero del vecchio magnate, mentre si piega in due per il dolore allo stomaco; e mentre Brick si avvicina per sorreggerlo e lo chiama babbo, ecco, quella barriera durata anni, fatta di lunghi silenzi, di prese di posizioni senza senso, della presunzione di avere ragione a tutti i costi piuttosto che dialogare, cade sotto il peso di qualcosa di molto simile all’amore, quello singolare e unico che unisce un genitore alla sua creatura.
E così, padre e figlio salgono abbracciati. L’epifania del vecchio morente salva la tappezzeria milionaria dagli artigli della gatta Maggie, la quale annuncia che avrà un figlio. Qualcuno ride. Menzogna, verità? No, soltanto coraggio, commenta il vecchio misantropo, il coraggio di sopravvivere nonostante tutto intorno dica no.
Si può mentire per rimandare l’inevitabile, ma consapevoli che un giorno dovremo, comunque, aprire la porta alla verità, soprattutto se scegliamo di amare.
Il lieto fine è così garantito, come ogni volta che ci si rende conto che il dialogo è l’unica alternativa allo scontro.
Franz Iaria per malacopia
Scrivi un commento