Ricordiamo ancora con fastidio la telefonata fra quei due imprenditori che, indifferenti alle disgrazie altrui, a poche ore dal terremoto che aveva appena distrutto l’Aquila se la ridevano, perché quelle macerie si sarebbero presto trasformate in denaro contante nelle loro tasche.
Il termine “macerie” evoca immediatamente una tragedia appena compiuta, e il dover ricominciare daccapo, il ripartire con fatica per ricostruire qualcosa che è stato e non c’è più. “Macerie” ci evoca sofferenza. E quindi non possiamo non provare disgusto verso chi gioisce di quelle macerie, chi addirittura auspicherebbe, come quegli imprenditori, “un terremoto ogni qualche anno”.
Ma c’è un settore delle attività umane in cui le “macerie” rappresentano quasi sempre qualcosa di bello, anzi, addirittura qualcosa di auspicabile: la scienza. Gli scienziati sperano continuamente che all’interno della loro scienza avvenga un terremoto che causi grandi distruzioni.
Anche se potrà sembrare strano, quello a cui ambiscono maggiormente gli scienziati non è il continuo consolidamento delle loro conoscenze. Imbellettare i libri di scienza con appendici, lemmi, postille che sanciscano ciò che si conosce già non gratifica un ricercatore più di tanto.
Il sogno di qualunque scienziato è invece che, prima o poi, avvenga una scoperta che lo costringa a rivedere ciò che si riteneva assodato e consolidato, e che lo obblighi a dover scrivere da zero capitoli nuovi di quel libro, magari tirando un bel rigo rosso su qualche pagina già scritta. Un terremoto insomma, di quelli che più forte è e meglio è. Un nono Richter scientifico.
Infatti tutte le grandi rivoluzioni scientifiche, dalla teoria della relatività alla meccanica quantistica all’evoluzione della specie, sono state il risultato di un ripensamento di teorie che si ritenevano capisaldi della conoscenza. Ripensamenti dovuti alla scoperta di nuovi fenomeni che in nessun modo potevano essere conciliabili con quelle teorie, e che hanno obbligato a riscrivere nuovi capitoli della conoscenza scientifica, assolutamente inaspettati e imprevisti prima di allora. Il sogno di qualunque scienziato è scoprire qualcosa di apparentemente assurdo, di impossibile per le leggi della natura a noi note.
Alcuni anni fa sembrava che certe particelle subatomiche denominate neutrini potessero viaggiare più veloce della luce. Il risultato di un esperimento sembrava indicare questa possibilità. Se confermato, sarebbe stato un terremoto scientifico veramente pazzesco. Un terremoto che ci avrebbe obbligato a rivedere la teoria della relatività, uno dei capisaldi della conoscenza scientifica moderna. Se i neutrini fossero andati veramente più veloci della luce, come sembrava dai risultati di quell’esperimento, avremmo dovuto ammettere che la teoria della relatività, che si è finora dimostrata perfetta per spiegare un’infinità di fenomeni, anche quelli più banali che abbiamo sotto il naso tutti i giorni, con i neutrini faceva fiasco. E avremmo dovuto spiegare perché con i neutrini faceva fiasco, inventandoci nuove teorie e nuovi esperimenti.
Per gli scienziati sarebbero state macerie bellissime, su cui ridere a crepapelle alla faccia delle intercettazioni. E invece purtroppo era solo uno stupido cavetto collegato male, accidenti!
Stefano Marcellini per malacopia
Illustrazione di Loris Dogana
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