Malacopia_Giugno-2015_Profumo 1

In genere, parlando di dipinti, siamo naturalmente portati al coinvolgimento dei canali visivo e (se e quando ci è possibile) tattile. Naturalmente, questa seconda possibilità percettiva è coinvolta maggiormente nel campo della scultura – dubito vi mettiate a tirare sganassoni alla Gioconda, tanto per rispolverare leggende michelangiolesche (alè).

Malacopia_Profumo_Monet_water-lilies-musee-marmottanRarissime le sinestesie -se possiamo nominarle così- di carattere uditivo: a meno che non siano presi in considerazione degli specifici amanti del genere, parlando di Impressionismo quasi tutti pensano ad un quadro di Monet o Renoir e quasi nessuno ad una composizione musicale di Debussy (ovvio che se mi unite le due cose e mi tirate pure in ballo le Gymnopedies mi sento autorizzata ad unire i nostri corpi nell’estasi che è propria dell’idillio dell’amore -“…no! Perché quando avevo tredici anni mio cugino…”- foste anche nel Serengeti).

Ma guardando un dipinto vi siete mai trovati a pensare prima di tutto ad un profumo?

Inutile dirvi che a me è capitato, eccome, ma è altrettanto inutile sottolineare l’ovvio, ossia che io ragiono notoriamente a rovescio perché ho la faccia come il culo.

Un valido, quanto banale, esempio di opere che possono suggerire percezioni olfattive sono i dipinti che raffigurano infiorescenze, sia come soggetti icastici sia come accessori di contorno. Certo, se vi mettete rasente la tela a tirare di narici come dei cani da tartufo d’Alba non so cosa possiate annusare di piacevole se non puzzo di vecchiaia e misfatti. Per spiegare, dunque, le sensazioni ricorrerei più volentieri al concetto di immaginazione, se non di immedesimazione in senso lato.

Malacopia_Profumo_Botticelli_Nascita_di_VenereNon è così immediato l’accostamento immagine/profumo, me ne rendo conto: la botticellianissima diva mea Simonetta Vespucci era una sgambettona di considerevole avvenenza ma magari olezzava di pitale e non di verbena, e di certo il profumo non è il primo pensiero che sovviene di fronte alla figura della Venere nascente.

C’è una corrente artistica di metà Ottocento che io amo moltissimo, i Preraffaelliti. Movimento puramente inglese, nato e morto lì. Come il tweed.

Uno dei quadri simbolici di questa corrente, eseguito da John Millais nel 1851 circa e conservato al Louvre, è ispirato al personaggio shakespeariano di Ofelia, l’innamorata di Amleto: vergine fragile, martire perfetta messa in disparte da tutti che cede alla pazzia per poi suicidarsi in un corso d’acqua.

Malacopia_Profumo_Millais_ophelia

La ragazza, prima di incontrare la morte, come da dramma, è già in piena alienazione: balla, canta e raccoglie fiori; ed è tra di essi che spira nel ruscello, con le mani spargenti petali e la bocca ancora semiaperta nell’emettere le ultime note. Le piante di contorno accolgono il corpo ormai esangue della giovane; sono un rifugio odoroso verso l’eterno, una carezza per l’olfatto. Voglio dire, con tutto quello smeraldo e fiori candidi ciò che sovviene è tutto fuorché la privazione della vita.

Tuttavia, a mio avviso non sono solo le infiorescenze che collegano l’occhio al nasoTrovo che ci siano anche tipologie di pennellata e resa del colore che possano (con un po’ di fantasia, se proprio volete) conferire una sensazione vicina a quella olfattiva.

Chiamo in causa un altro pittore che amo moltissimo: il ferrarese Giovanni Boldini, genio italiano della Belle Epoque. Formatosi con i macchiaioli e divenuto grande ritrattista dei ceti alti parigini, celebre il suo ritratto di Verdi (per gli amici, come me, “Zio Beppe”. Sorridete e salutate!).

Prendo ad esempio uno dei ritratti della contessa Gabrielle de Rasty, sua amante: giovane donna dalla pelle eburnea ed il viso appuntito, grosse sopracciglia e capelli d’ebano (ha un qualcosa che, personalmente, mi ricorda in modo vago la Giuditta di Klimt – più per i tratti che non per l’atteggiamento. Diciamo che Giuditta è languida, la nobile Gabrielle è la cugina spigliata). La scena è lo scorcio di un boudoir; seduta su di un divanetto perlescente, vestita di rosa. 

Malacopia_Profumo_Boldini_signora_in_rosa

Sebbene io biasimi con slancio le tinte porcellino, la nuvola cangiante del vestito e la camelia appuntata al petto catturano tutta la luce – esigua, le tinte sono abbastanza smorzate. La veste è la protagonista, colpisce iridi e froge (quando le corolle d’olio non odorano propriamente d’ulivo…). 

Scommetto una fetta di tetta che se l’autore avesse potuto, avrebbe tentato qualche magheggio cartotecnico della serie “strofina ed annusa”. Come nei libri per bimbi.

Immaginazione, fantasia; immedesimazione, sensazione. Anche l’arte profuma. Anche la “Fontana” di Duchamp (…per non parlare de “La merda d’artista” di Manzoni!), per quanto non abbia – forse – la stessa allure di un quadro di Boldini.

Chiara “Chiappa” Lazzaro per malacopia