La crisi è tra noi. Dicono ci sia dal momento in cui la si nomina, ragion per cui per anni avevamo quasi timore di chiamarla.. Poi di colpo si è imposta per quel che è, ed ora è divenuta soggetto sdoganato di fictions, film, romanzi. Talmente sdoganato che rischia, nella sua onnipresenza, di tornare ad essere invisibile, di passare in quell’eclatante anonimato che è la sovraesposizione mediatica, quella discarica dove ricordi -ma preferiresti anche di no-: la Lecciso, le vuvuzelas e il meneito. Quella sensazione che il troppo visto si dimentichi in fretta e che ciò che hai sotto agli occhi finisca per non essere visto, un po’ come quando cerchi gli occhiali che hai addosso.
Il bello -se così vogliam dire- del cambiamento in atto è che, per la prima volta, ci dà l’impressione di essere democratico: non si accanisce solo contro operai e disoccupati, piccoli artigiani e commercianti, anche piccoli e medi imprenditori si tolgono la vita per debiti ma anche per crediti, quelli che stato, banche e debitori non pagano. Operai, padroni, stato. C’è crisi per tutti! Pèrdono l’impiego, e in età avanzata, anche manager e dirigenti, categorie che fino a poco tempo fa erano, nell’immaginario collettivo, privilegiatissime.
È la nuova crisi, dunque, la vera livella: operaio o dirigente, la perdita del lavoro è comunque un casino. E mica solo per i soldi. Anche se non siamo calvinisti, pure noi, per decenni abbiamo affidato quasi totalmente al lavoro la realizzazione personale e la definizione del sè. È evidente come, quindi, la sua mancanza costituisca motivo di insuccesso, disistima e totale annichilimento personale e sociale.
Da questo humus nasce anche il corto cinematografico “L’incognita”. La pellicola, a firma Enrico Muzzi, racconta della sofferenza di Silvano, uomo di mezza età, che dopo aver perso il lavoro si ritrova intrappolato in una spirale di solitudine, delusioni e paure.
Il film è piaciuto in Italia, dove ha vinto diversi premi e menzioni speciali, ma è stato apprezzato ancor di più negli Usa, tanto da aggiudicarsi il premio come miglior film al New York Dénouement Film Festival.
Mancato lavoro (o perdita di esso) e suicidio sono temi, dicevamo, che ricorrono in questi anni nei corti e nei film. Una paura quasi trans.generazionale rispetto a quell’incognita che rappresenta il futuro. Anzi la paura di non avercelo proprio un futuro. Di non poterlo meritare, di non potervi accedere. La coscienza che senza un lavoro non ci si può guadagnare l’autonomia e, di conseguenza, permettersi una casa, una famiglia, una vita.
Giovani non più giovani che, troppo spesso, vengono aiutati dalle famiglie. E il dramma è che capita che anche i genitori perdano il lavoro. Le preoccupazioni dei padri diventano quelle dei figli e viceversa.
Cosa accadrà a Silvano, il protagonista del corto, lo scoprirete vedendolo. A noi rimane un lavoro lento e faticoso, quello di cambiare prospettiva con cui guardiamo il futuro e trasformare “l’incognata” ne “l’opportunità”. Ci riusciremo?
Marco Melluso
… for malacopia
Scrivi un commento