La mattina della vigilia di Natale la Renna Decana di Babbo Natale si svegliò e, scesa nel laboratorio, si accorse subito che qualcosa non andava. Ecco qui il suo racconto dell’accaduto:
“Mamma mia, ma sta proprio male! È svogliato e inappetente e per giunta non mangia più carboidrati. Ha smesso di leggere letterine, guarda in TV Six Feet Under e beve camomilla ma senza il suo brandy, quello che dal 1953 gli manda, ogni anno, la Regina d’Inghilterra. Ieri notte si è alzato due volte a guardare il planisfero sul camino e ha fumato un sigaro. Ha fatto due tiri e lo ha spento sul pavimento di ghiaccio (fortunatamente gli elfi del piano di sotto dovevano consegnare una moneta ad un bimbo per un dentino caduto…). Non porta nemmeno più il cappello rosso e comincia a soffrire di sinusite. Ma… Eccolo! Si è appena alzato e si sta mettendo il vestito buono. Qualcosa di terribile sta per succedere. L’ultima volta che ha indossato lo spezzato con cravattina bicolour è stato avvistato il giorno dopo a Woodstock!
Mi nascondo dietro il muretto della cucina e loo spiato. Ha in testa il suo borsalino preferito (autunno inverno 1938) e l’impermeabile, forse per non dare nell’occhio (in effetti sembra Frate Indovino vestito da tenente Colombo con gli occhialini di Miss Marple).
Esce.
A questo punto, mi siedo sul divano (se mi vedesse…) e a zoccoli incrociati e, con una foglia di betulla tra i denti, attendo sviluppi. Passa il tempo e io sono ormai alla dodicesima foglia e qualche fragore retroattivo me lo ricorda. Accendo la Tv e… Le corna mi saltano dalla testa! La notizia del giorno è: Babbo Natale in sciopero! E vedo quella vecchia acqua cheta barbuta di Babbo che dice sul Canale Nazionale che non ne può più bla bla bla… Niente letterine bla bla bla …Che provvedano i genitori ai regali… bla bla bla…
Panicoooo! Con un bramito di guerra chiamo Na-mi, Ta-mi, Le-mi, quelle renne che trainano la slitta magica. Entrano di corsa, con la testa per aria come al solito e le corne dinoccolate, scivolano sul ghiaccio e urtano contro il camino. E mentre le stelline e gli uccellini ronzano intorno alla loro zucca ammaccata: “Capoooo, ci hai chiamate?”.
“Sì, idiote!” comincio ad urlare. “Stamane, non avete visto uscire il Babbo?”.
“Sì, capo. Andava a piedi a valle, sbraitando” rispose Le-mi.
“E non vi pare strano che un buontempone che in vita sua non ha mai fatto un centimetro a piedi si svegli al mattino con la voglia di fare la Maratona della Lapponia… Idioteee, vi spedisco al Kentucky Derby in mezzo ai cavalli…”.
“ No, i cavalliii nooooo!!! Hanno quelle strane abitudini e si dice che non si lavino!”.
“Ma brut…” mi sale il sangue sino alla punta delle corna.
All’improvviso, un rumore. La mia lingua frena contro i denti come una Ferrari a cento all’ora e sento il rigurgito amarognolo dello spuntino vegetariano dopo il testa-coda della lingua sul velo palatino.
Babbo è rientrato. Ci nascondiamo di furia dietro il divano. Lui entra, si toglie l’impermiabile, la giacca e il cappello e rimane solo con la maglietta (modello tendone da circo) con la scritta La rana in Spagna gracida in campagna (tipica ironia scandinava). Apre la credenza, prende la sfera magica.
Ah, sì, certo che ricordo. Una volta per sbaglio si incastrò nel camino di Calypso, che rise così tanto che per un attimo si dimenticò del ben servito di Odisseo. E la ninfa gli regalò, per ricambiare quell’attimo di serenità, una sfera magica per vedere tutto ciò che accade nel mondo (quante avventure che ho vissuto con questo vecchio panzone!).
Babbo, d’improvviso serio, alzando la mano e fermandola di scatto come se volesse catturare il tempo che andava, pronuncia una frase incomprensibile e una luce, che si irradia a raggiera da un punto centrale, avvolge tutta la casa fino a renderla fluorescente. Mi affaccio con il muso peloso, mentre le altre tre compagne si appoggiano a me come anime perse nella taiga in cerca di conforto. Io le spintono per riuscire meglio a slanciare il collo e vedere dentro l’oggetto magico. E lui, che non pensavo mi avesse visto, di sorpresa mi fa: “Su, vecchia amica mia, siedi e guarda il dono che ho fatto ai bambini”.
La sfera di luce riproduce una sequenza di scene, ciascuna ambientata in luogo diverso del mondo. Mi soffermo in particolare su un papà disperato di New York da FAO Shwartz, che il giorno 24, causa sciopero babbiano annunciato, deve comprare i regali ai due figli. Ma non sa cosa. Sta ansioso e immobile in un angolo, provando a chiamare mamma, nonna, amici, maestra e tutta la sagrada familia perché qualcuno gli dica che regalo vogliano i figli, quali desideri abbiano espresso per quel Natale. Alla fine si ferma in una caffetteria, beve un the, cercando conforto negli zuccheri di muffin, prende un taccuino e incomincia a scrivere. La sfera inquadra tutto nel dettaglio: il povero papà che cerca di annotare un evento, un ricordo che gli dia qualche indizio. E in preda allo sconforto, il papà della NY ricca, armato di conto in banca e carta di credito, e nel tempio mondiale del gioco, rimpiange amaramente di non aver passato un po’ di tempo in più con i suoi figli, confessando in uno slancio di autenticità di non conoscerli niente affatto.
La scena finisce ma la sfera restituisce altre scene simili in tutto l’Orbe, da Londra, a Madrid, a Rio, a Sidney, fino a… Borgo Val di Taro.
E io, Renna sdentata, mammifero nordico dalla stazza imponente, ma con un cuore tenero, mi ritrovp già al quinto pacchetto di Kleenex ed emetto singhio-bramiti come di fronte al finale di Love Story mentre le tre sceme dietro il divano mi fanno eco.
E Babbo si gira e comincia a ridere senza sosta. Noi ci avviciniamo a lui e lo annusiamo, casomai avvertissimo odore di qualche rimedio naturale che mette allegria (quando gliela lavo, la sua tazza dell’orzo odora sospettosamente di Sambuca… Vecchio Volpone!).
“Ebbene: ho ottenuto quel che volevo!”.
“E gnihihiiii… crcr… Scusa… Cioè?” domando (mi concesse un dì il dono della parola ma ogni tanto la connessione cervello lingua è ostacolata dall’io quadrupede).
“Che i genitori pensino finalmente ai figli, che ragionino sul regalo più adatto, che spendano del tempo e non tanto soldi per far felici i figli rinunciando al proprio egoismo, che sperimentino quel dolore ficcante di una distanza infinita pur nell’estema vicinanza, che desiderino spendere anche solo cinque minuti per chiedersi che cosa può rendere felici”.
“Suvvia, amiche impellicciate: alla slitta! Stanotte si lavora il doppio. Ma prima Decana dovresti… hmmm… Leggere quelle duemila letterine…”.
“E te pareva! Oramai lavo, stiro, cucino… Insomma sono la badante di sto lunatico trippone e di queste tre sceme!”.
Poche ore dopo, quando oramai Decana chiuse il catalogo dei regali del 2014, timbrando la copertina con lo zoccolo inumidito nel marzapane, tutto era pronto. Papà Natale uscì dalla stanza col suo abito tradizionale. Decana gli appuntò un po’ di vischio sulla casacca e la slitta partì.
Il cielo, quasi immobilizzato dal gelo, si aprì e le nuvole presero a muoversi. Scie liminose segnalavano ora l’autostrada stellata, dove la slitta procedeva senza gravità, lenta ma veloce, come succede in tutte le favole natalizie che si rispettino.
Franz Iaria
Scrivi un commento