A QUALCUNO PIACE GRANDE (L’ARTE…).
Intere correnti artistiche hanno fatto della resa minuziosa dei particolari il loro punto di forza. Sul versante opposto rispetto alla bellezza delle piccole cose c’è però la meraviglia data da un’arte che sfida le musire e i canoni convenzionali. Dai Giganti di Messina, alle statue di Bomarzo, passando per le più fantasiose installazioni contemporanee: un viaggio nell’arte titanica… (a cura di Lara De Luna per Repubblica.it).
Sin da bambini siamo posseduti da un’incolmabile desiderio di cose certo belle ma soprattutto grandi: il gelato più grande, il giocattolo più grande, lo zaino più grande e…. Di essere più grandi.
Crescendo impariamo che l’accezione dell’aggettivo può essere bifronte: può solleticare il piacere fisiologico se si associa a certe forme materiali, può colmare vuoti infiniti dell’anima se speriamo che quella A(more) sia davvero grande grande, ma può anche anche procurarci infiniti rompicapi se naviga su zattere problematiche in mari tempestosi.
Ma per chi sa sognare, di quei sogni che si nutrono costantemente di quel non plus ultra con cui i latini indicavamo qualcosa di quasi extraumano, allora la nostra mente vola alla conquista dell’assoluto, la cui prima tappa – la storia ci insegna – è toccare il cielo con un dito. E fummo così sulla luna.
L’arte delle origini cercava il colossale, il gusto dell’esagerazione mastodontica, con le famose piramidi, meraviglia dell’orbe (ma anche primo grande caso di lavoro nero sottopagato), o con statue dalla leggendaria grandezza come il Colosso di Rodi o il Giove di Olimpia, a ricordarci con la folgore tra le mani che l’elettricità è proprio una cosa da grandi (bimbi state lontani dalle prese. Fto: Mamma).
E poi furono il Taj Mahal, con le sue storie romantiche démodé e i grattacieli newyorkesi del ventesimo secolo, che vissero anni di gloria finché Carrie Bradshow ed amiche li trasformarono in moderni lupanari accessibili solo a gente di un certo livello. Insomma no Blahnik, no party.
Come in tutti i momenti storici difficili, l’arte diventa il canale di espressione più attendibile dei desideri degli uomini e gli ultimi decenni sono stati davvero duri. Ritorna così il desiderio infantile del grande e più grande e più grande ancora, questa volta non per invadere il condominio divino nel cielo ma solo per dire che esistiamo e desideriamo, abbiamo bisogno di qualcosa di immenso da tirare fuori oltre i limiti fisici del corpo umano e per ribadire ad alta voce e con brio che VOGLIAMO esserci, POSSIAMO farcela, CONTINUANDO a pensare in grande.
E succede davvero, non è una semplice retrospettiva possibile. Passeggiando sulle rive del lago ‘Alster, ad Amburgo, d’improvviso una sirena gigante emerge dalle acque, solo con il viso teutonico e le ginocchia, segno che la signora è in attesa di qualcosa e in relax. Si chiama Giant Mermaid e quando in barca ci si avvicina a lei, si ha la sensazione di ritrovare quella serenità di un grembo materno, il conforto che solo l’immenso può dare. Eppur qualcuno mentre sta per imbarcarsi su quella barchetta dei sogni, ci ripensa. Vabbé l’infinita voglia di tenerezza, ma quel certo racconto omerico sulle sirene, la figura indecorosa dell’uomo attaccato a un palo come una soppressata e con tappi di cera nelle orecchie (donne, ve piacerebbe eh?!), fa pensare che è meglio investire i 10 euro in wurstel e krauten, casomai proprio quel giorno il destino voglia che la leggenda divenga realtà (brivido improvviso alla prostata…brrr).
Ve la ricordate quella paperella bella, bella che ci metteva nella vasca mammà quando ci facevamo il bagnetto? E ora immaginatevela 1000 volte più grande e che se ne va in un giro ad esibirsi in tutti i porti del globo.
Devono essere stati i troppi chilometri fatti, un calo di glicemia o la depressione tripla di una papera abituata alla vasche metropolitane e ora sottoposta allo stress della notorietà, sta di fatto che il pennuto gonfiabile è finito lungo disteso nelle acque del porto di Hong Kong. Il troppo in effetti storpia e a volte scoppia o peggio ancora sgonfia.
Ad Örebro, in Svezia, giri l’angolo della strada e ti trovi un coniglio di 13 metri in posizione verticale e nell’atto di rotolare. E quando già, piacevolemte rassegnati, pregustiamo la delizia di una fine dolce e lenta, sotto quintali di morbidosa tenerazza, ecco il risveglio. Siamo all’OpenArt e il coniglio ha tradito i nostri desideri. Malefico coniglio. Se solo fosse stato un pò più piccolo la vendetta sarebbe stata a fuoco lento e in padella. E invece che in giallo il coniglio sarebbe stato alla cacciatora (bonooo).
E quando si mangia troppo, si sa, gli effetti collaterali possono essere considerevoli. Ci ha pensato su l’artista McCarthy che ha immaginato un’evacuazione senza precedenti, ipotizzando evidentemente un’apocalisse intestinale su scala mondiale. Di qui una geniale quanto disgustosa cacca gigante che invade una piazza di Hong Kong con i suoi 16 metri di altezza, espressione dell’ipertrofia dell’uomo consumista che magna magna magna e inevitabilmente scatena una reazione uguale e contraria. Insomma è meglio prendere tutta la faccenda come una questione di fisica, da studiare armati di guanti e mascherina (ma anche no…).
E alla fine dell’affascinante incontro con l’arte corrente, si è sfiniti e monta la voglia di tanto tanto relax per ritirare le dimensioni della anima, espansa oltre i confini della realtà, contagiata dalla megolomania della retrospettiva contemporanea. Ritorna la voglia di casa, del focolare domenistico, dei piaceri della vita comune. Lo spera molto il marito, che teme che tutta quella full immersion nella globale arte, malata di gigantismo, faccia venire alla signora stane voglie e soprattutto desideri irrealizzabili se è vero che la matematica, in questo caso espressa in cm, non è un opinione. E se mentre sdraiato sul divano a vedere la domenica sportiva, passa la consorte in baby doll e Art Decò tra le mani e strizza l’occhio, allora converrà, per rimanere in tema, invocare il biricchino Priapo, chiedere aiuto e formule magiche vasodilatatrici.
Evviva! Si alzò (in tutti i sensi), un grido dalla camera da letto. Al diavolo la papera di Hong Kong e McCarthy. Da oggi, pensò la signora, qui solo arte pompeiana!
Franz Iaria per malacopia
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