Pomodori verdi fritti alla fermata del treno? Ora può succedere.
“Adotta” una stazione e crea nuovi progetti culturali.
L’idea è di Rete ferroviaria italiana per dare in concessione i locali attraverso un comodato d’uso gratuito: ti occupi della manutenzione e l’affitto non lo paghi. Il valore dei locali dati in concessione finora si aggira intorno ai 120 milioni di euro… (Lorenza Castagneri, La stampa.it)
La stazione ha assunto nell’immaginario dell’uomo contemporaneo un significato che è andato molto al di là della sua semplice definizione di luogo di transito e sosta.
Nel corso dell’ultimo secolo le stazioni sono diventate vere e proprie emanazioni del tempo, dove convergono cumuli di persone, che si muovono disegnando meccanicamente percorsi come in un piano cartesiano, luoghi in cui la fretta diventa la migliore consigliera e il minuto in più o in meno può diventare un fattore chiave per la riuscita o il fallimento di una giornata.
E si sa che ‘uomo, per sua natura e narcisismo, non può fare a meno di stra-(s)-formare tutti i luoghi deputati alla sua esistenza in oggetti di culto per raccontare il suo essere nel tempo.
Parte così la creatività. Le penne e le matite si muovono secondo quella primordiale espressione dell’intelligenza umana, la dialettica cervello- braccio. Ed ecco milleuno situazioni in cui la stazione si veste di gran sera e fa il suo ingresso nell’olimpo della letteratura e della settima arte.
Nella saga letteraria di Harry Potter e nei film tratti da essa, la stazione di King’s Cross diventa il luogo da cui scaturiscono tutte le storie descritte nei primi sei libri della serie. Al suo interno si trova il binario 9 3/4, posto tra il 9 ed il 10, al quale si accede oltrepassando una barriera di mattoni accessibile solo ai maghi ma solo quando sta per partire o arrivare l Hogwarts Express, il treno che conduce gli allievi alla scuola di magia.
Da luogo della fantasia a perfetto scenario pseudo-horror e parodico nel Frankenstein Jr di Mel Brooks: su uno sfondo da brivido tra ululati e cigolii vari, la stazione tetra della Transilvania diventa lo scenario di un aggrovigliato scambio di battute tra lo scienziato e il gobbo Igor. È qui che Igor pronuncia il cognome Frankenstein, che il dottore pronuncia Frankenstin; è qui che Igor, di fronte alla pietà del padrone che lo osserva impedito dal peso della gobba e si offre di aiutarlo, risponde: “…Quale gobba?”.
In Pomodori Verdi fritti (alla fermata del treno) di Jon Avnet (dal romanzo di Fannie Flagg) nella stazione ferroviaria, oramai ridotta ad un rudere abbandonato, dove un tempo sorgeva il caffè, si avverte ancora la presenza dello spirito di Idgy, donna ribelle e coraggiosa, insofferente di ogni sopruso nell’Alabama degli anni venti. Il caffè, che la donna apre nei pressi della stazione con l’amica Ruth, diventa il luogo dove si intrecciano i destini di persone tanto diverse neri, barboni ed emarginati, minoranze prede del razzismo dilagante e vittime della banalità del Ku Klux Klan.
E come dimenticare Carducci, sconsolato, che con la sua poesia fotografa una stazione d’autunno inaugurando il connubio stazione-addio all’amata, rispetto al quale, un secolo dopo, le scene degli schiaffi alla stazione di Amici Miei sembreranno quasi un’inversione di un topos letterario secondo la logica pop toscana della zingarata.
L’uomo, tuttava, è labile, sensibile alle mode e al progresso, abituato a sostituire il vecchio con il nuovo senza conservarlo ma gettandolo.
E così tante stazioni, che hanno vissuto storie da protagoniste, come sfondo di vita reale e vicende umane che, sebbene non conosciute, hanno contribuito all’eterno movimento della storia, SONO finite nel dimenticatoio, vittime del solito italian job.
Come Norma Desmond ne “Il viale del tramonto” non si rassegnava alla decadenza e rivendicava la sua importanza sulla base di quello che fu, anche le stazioni col il loro potere evocativo hanno, attraverso la bruttura di una trascuratezza tutta umana, attirato l’interesse dei soliti filantropi, quei pochi, per capirci che con la loro iniziative, garantiscono ancora la salvezza e il culto delle arti umane.
Il viale del tramonto è quindi rimandato e magari chissà, un dì, fermandoci in una strada di campagna sul far della sera e scorgendo da lontano un bel ristorante, potremmo scoprire che lì la cucina locale è fantastica, che magari al piano di sopra c’è anche un piccolo hotel con gli arredi della nonna e che dal terrazzo si gode un panorama magnifico.
E raccontandolo di poi ad amico, che è un po’ più informato di noi, potremmo sentirci dire: “Non sapevi che era una stazione…?!”.
Franz Iaria per malacopia
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