MONNA LISA SECRETS: tutto quello che non sapete dell’arte.
Se i quadri potessero parlare: l’ironia su Instagram (da Repubblica.it)
L’arte, si sa, è sofferenza, spasmo fisico, tensione interiore, crocifissione dell’iniziato per il raggiungimento di un fine perfetto, che prende la forma di una rappresentazione figurata che rimanda a significati ulteriori, quelli per cui i critici di ogni tempo versano litri di sudore. E questo perché ciascuno di noi possa comodamente apprezzare un’opera d’arte senza scomodare Stendhal, la sua sindrome e la derisione dei profani di fronte allo schock dell’anima che osa toccare il profondo. E infatti può succedere che ci si trovi una notte ad ammirare il Colosseo, si venga colpiti dalla freccia delle Muse Apollinee e si finisca al Casilino (Ospedale di Roma), dove infermieri dalla cadenza autoctona ci canzonino dicendo: ma n’era meglio Trastevere e na bella cacio e pepe e te passava la paura?
E sì, la magia dell’arte segue queste vie inaspettate e suoi protagonisti, in un modo o in altro, finiscono per dominare la scena, diventando inconsapevolmente parte di quella storia che viene racchiusa dal perimetro geometrico di una tela o dalle ciclopiche forme di una scultura.
In questa complessa corrispondenza tra il demiurgo e il destinatario, avido di sensazioni soprannaturali, si dimentica spesso la nozione classica di arte come mimesi (imitazione) della realtà, il che ci rimanda alla superficialità dell’appassionato, che quasi sempre trascura di soffermarsi sull’oggetto di quell’imitazione, ovvero i modelli che ispirarono pennello, scalpello e tutti gli infiniti attrezzi del mestiere.
Immortalati nell’istantanea dell’arte, i protagonisti di tele e sculture giacciono lì, con espressioni dietro le quali sembra a volte di scorgere la sopportazione della paturnia del genio che li scelse come tramite per arrivare alla forma ideale. La serietà con cui percepiamo le opere può cedere per una volta il passo al vero scopo dell’arte: gioire e divertirsi! E se ci divertiamo noi, perché non possono divertirsi anche i personaggi stessi delle opere d’arte?
Partiamo, dunque, dall’opera per eccellenza: le lunghe file al Louvre vogliono dire Gioconda, Leonardo da Vinci. L’opera è splendida, collocata al centro della sala. Ad ogni ora per vederla da vicino, bisogna fare a pugni con orde di giapponesi armati di macchinette fotografiche spaziali. Monna Lisa è lì a guardarci con un’espressione aperta a mille interpretazioni. Si coglie la tranquillità e la soddisfazione di chi Sto arrivando! che è diventeta un’icona del tempo.
Qualche buontempone, d’altronde, avrà giocato a immaginare quello che Monna dovette dire a Leo, allorché, chiamata ad un giudizio sull’opera conclusa, si accorse che sotto i suoi capelli c’era la faccia del maestro: “Oh, Leoh, che te tu sei un bucoh???” (bucoh=gay in toscano, ndr.).
Spostiamoci altrove. Olanda, 1665. La giovane donna che posò per Vermeer, fu colta proprio nell’attimo in cui voltava il viso. E si racconta che l’artista la fece voltare più e più volte per cogliere il realismo del movimento. Nella sua espressione meravigliosa emergono tutta la sofferenza dei dolori reumatici, il torcicollo e due occhi che recitano un anatema minaccioso: dimmi di girarmi ancora una volta e la perla… Insomma, si può intuire il finale della frase. Beh, in casi estremi anche la grazia si alza e se ne va sbattendo la porta.
Veniamo ai nostri tempi (o quasi). Si sa che ne L’urlo il soggetto e l’artista coincidono e che Munch raccontò di aver vissuto un’esperienza di terrore su quel ponte, senza mai comprenderne realmente la ragione. Nell’era della tecnologia e della dialettica dei social, il Munch spaventato diventa il simbolo dell’angoscia conseguente ad un appuntamento al buio, quando dopo aver chattato con Bonazza77, sul romantico scenario del ponte, ti ritrovi di fronte un Cerbero irsuto di nome Uga e altro non si può fare che darsela a gambe con le mani tra i capelli.
L’arte è piacere, sintesi edonistica con la varietà della natura. E può succedere che il bello sia piuttosto soggettivo, che il canone di equilibrio delle forme sia volutamente deformato fino a creare nuove e divertenti sperimentazioni, quelle che si chiamano correnti. La donna seduta di Botero, si presenta nuda, abbondante, affondata su un letto e vestita solo di un filo di rossetto. Aiutoooo! Scandalooo! Oltraggiooo! urlano la Primavera del Botticelli e la Maya Desnuda. Eppur tuttavia, se la osserviamo con attenzione, scorgiamo nella abbondanza della dama di Botero un senso di sicurezza e appagamento. Ci appare lontana dall’imbarazzo e con aria ancora sognante. Sembra pensare a qualcosa di buono, uova e guanciale riversi sui bucatini fatti in casa dalla Sora Lucia, la sua domestica romana. Ogni rotolino richiama una forchettata abbondante e il piacere dell’uovo ben cotto che si scioglie in bocca. Morale della Favola: la dieta è rimandata a lunedi.
E in questa carrellata di critica d’arte pane e salame, non possono mancare l’amore, le carezze, i baci. Il bacio di Hayez ha fatto sognare generazioni di fanciulle sin da quando dalle scuole medie si organizzavano le visite guidate all’Accademia di Brera. Lui sembra essersi appena intrufolato nella dimora dell’amata, arrampicandosi sulla torre come l’uomo ragno, con in testa il cappello di Robin Hood e il mantello di capitan Harlock. L’attenzione, però, cade su di lei. Travolta dall’insolito destino sulle scale, mentre usciva dalla toeletta del dopo pranzo, sembra abbandonarsi ma anche divincolarsi… E qui partono le interpretazioni. Purtroppo più che un bacio le è capitata una doccia imprevista. Le buone maniere e l’educazione aristocratica le impediscono di dire ciò che pensa: ma chiudere i rubinetti, nooo?
Cara amica, te lo diceva la mamam quando ti istruiva sull’Ars Amatoria: “Leggi la rubrica de La Regina!”.
Franz Iaria per malacopia
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