IL PONTE TRA STORIA E NEW AGE.
Non sempre un ponte è semplicemente un passaggio da un punto all’altro. Alcune strutture sono capaci di trasformare il paesaggio circostante, diventando parte integrante dell’ambiente e della cultura della regione in cui si trovano, facendo nascere favole e leggende. Così scopriamo che alcuni sarebbero stati costruititi dal diavolo o magari piegati dalla luna. Storie popolari piene di fascino. (da repubblica.it)
In principio fu Orazio Coclite che per difendere l’antica Roma i ponti li tagliava. Poi fu Cesare che i ponti li tirava su (quello sul Reno) per andare al di là del fiume giusto per mettere le cose in chiaro con quei signori biondi ed impellicciati dei Germani (dolor in asinum, rompiballe). Da allora (è proprio il caso di dirlo) di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia e di quegli eventi dell’avanti Cristo sono rimaste solo versioni da incubo per gli studenti liceali.
Dal tuttologo intellettuale trecentesco, che popolava i suoi sogni di donne angelicate, cavalieri e diavoli, e nel tempo libero faceva il farmacista, ci proviene una nozione del ponte insieme materiale ed ideale, come oggetto fisico capolavoro dell’architettura e della matematica ma anche come invisibile percorso di collegamento che unisce due poli con il fine di stabilire rapporti proficui.
Se pensiamo alla struttura di un ponte, all’arco armonioso che la sorregge, non può non venire in mente la gioia che si prova contemplando un’opera perfetta, quella stessa che, probabilmente e mettendo in moto altri sensi, generazioni di uomini hanno vissuto godendosi un panorama da lassù, magari con una dolce e stimolante compagnia.
Certamente sentimento ben diverso dalla gioia dovette essere quella tachicardia che faceva balzare il cuore in gola ai condannati a morte che attraversavano il veneziano Ponte dei Sospiri, lungo il quale respiravano appunto per l’ultima volta nel mondo dei vivi. Sarà la claustrofobica memoria dei padri o no, sta di fatto che sicuramente oggi lo si preferisce ammirare dall’esterno all’aria aperta piuttosto che in preda a dispnee da panico. E così tutto risulta più piacevole e alla triste atmosfera della leggenda subentra il gusto per l’opera d’arte che magari verso mezzogiorno e opportunamente apre lo stomaco, mettendo voglia di caparossoli in cassopipa.
Il tramonto che cala sui tetti del centro storico di Firenze fece da tempo immemore la fortuna del Ponte Vecchio di Firenze. Finché un fabbro, prodotto dalla saggezza popolare e Ser Ceppelletto dell’ultim’ora, per farsi pubblicità in tempi di vacche magre iniziò a mettere lucchetti sul ponte. Chissà, magari sperava di guadagnare qualche soldo in più per un pezzo di farinata e un bicchierino di buon Chianti del Mugello. Il boom fu immediato, i messeri in sottana trascinavano giovani pulzelle sul ponte e, quando, dopo aver guardato un’ora il tramonto, le dame ancora non si convincevano, Eureka, il lucchetto, la chiave nell’Arno, l’eterno amore. E così il carnale finale era garantito, le fanciulle compromesse, i messeri erano sfidati a duello per l’onore violato e l’unico che se la rideva era il fabbro che sognava, da nuovo Paperone fiorentino, tavolate luculliane magari come ospite del Lorenzo Nazionale a Palazzo Vecchio.
Credereste mai che un ponte possa essere fatto di uova come un timballo o una crostata di frutta? Naaa… Invece… Succede!
È quello che si racconta del Ponte Carlo di Praga, classe 1357. Gli architetti praghesi, in preda forse ad un buco nello stomaco verso mezzogiorno piuttosto che alle rigide regole vitruviane, mischiarono la malta ai tuorli d’uovo per rendere la struttura del ponte più resistente (la fantasia era piuttosto spinta o il vino della sera prima bello corposo). Sta di fatto che si racconta che di notte, attraversando il ponte, si sentono i lamenti delle statue, che si animano per proteggere i passanti, o più probabilmente sono solo esasperate dal secolare tanfo di uovo marcio che sale dalla fondamenta del ponte. Insomma quando è troppo è troppo.
Non solo, però, mattoni e calce. Ponte vuol dire anche incontrarsi e creare collegamenti non soltanto mentali ma anche digitali.
Le corrispondenze di amorosi sensi, di memoria foscoliana, animano le relazioni a distanza, quando i ponti percorrono chilometri di fantasia ed infinito, per concludersi spesso in caldi abbracci virtuali e amplessi immaginati (libera poi la scelta se fare un salto nel Sexy Shop di fronte casa). La tecnologia ci dà la possibilità di andare oltre, di sperimentare i confini del mondo attraverso i social e le chat: qui i ponti diventano davvero quelle piattaforme galleggianti nel web, da non confondersi con quelle che nella realtà esistono e sono il cult delle metropoli dell’estremo oriente.
Basta un click perché un Golden Gate virtuale si estenda da Nord a Sud o da Est ad Ovest, in una quantità infinitesimale di tempo che avrebbe fatto morire di infarto Leonardo da Vinci che anche per tirare una linea sul foglio doveva trovare il valore di x/mezzi.
Ma improvvisamente anche il costruttore di ponti virtuali, il giovane web-runner, potrebbe trovare utile la storia d’altri tempi del buon Coclite e decidere di darci un taglio. Magari scoprendo che il tipo palestrato con cui chatta su Facebook da cinque anni è più simile a Shrek che a Brad Pitt, o che il giovane miliardario che ha promesso un matrimonio hollywoodiano e una vita in un resort di Cancun altri non è che un vecchietto pensionato della Pennsylvania, annoiato e frustrato dalla moglie in meno pausa che gli nega la gioia di sparare gli ultimi colpi in canna.
Di materiale, parlando di ponti, ce n’è, eccome, e non solo per artisti, turisti e amanti ma anche per Catfish (False Identità, in onda su MTV).
Franz Iaria per malacopia
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