Di punto in bianco, riaprii gli occhi e mi ritrovai in un enorme canyon circondato da enormi muri di roccia, e da nere e aspre montagne frastagliate che mi occludevano la vista. Per lungo tempo rimasi a fissarle e per lungo tempo immaginavo, e fantasticavo cosa poteva esserci oltre quelle rocce insormontabili.
Un giorno spinto da un istinto primordiale mi decisi ad affrontare, l’enorme muro che da tempo mi impediva ogni tipo di fantasia e gioia. Piano piano cominciai, a piedi nudi, a toccare e a sentire sulla mia pelle quella roccia che fino a quel momento mi aveva bloccato, e più la toccavo più che la mia pelle si spaccava, si lacerava e un bruciore acido, mi percuoteva la pelle e i muscoli.
Via via che salivo il bruciore diveniva sempre più forte e le ferite più profonde, una sensazione simile a tuffarsi in mare con il corpo completamente ustionato. La roccia si sfaldava e, ogni scivolone verso il basso, mi dava ancora più forza per risalire, nonostante il dolore, che ormai mi attanagliava anche il cuore.
Giorno dopo giorno, mese dopo mese quella montagna sembrava infinita, ma ad un certo punto, una nebbia bianca e fine cominciò a circondarmi di bianco vapore che alleviava le mie sofferenze, divenne così fitta che per un momento pensai che forse avevo raggiunto la mia meta.
Toccai nell’ignoto della nebbia una roccia che per come era appuntita mi trafisse la mano come un chiodo, l’afferrai e con un potente colpo di reni mi sollevai: ero arrivato, e davanti un nulla bianco si estendeva all’infinito.
Rimasi per giorni interi a fissare nel vuoto nella speranza di vedere qualcosa, un segnale, una luce. Con finta fierezza rimanevo appigliato con forza a quella guglia che nonostante il dolore che mi aveva causato era l’unica mia soddisfazione, il mio unico traguardo.
Ad un certo punto il bianco vapore divenne grigio e piano piano cominciò a discendere lungo i versanti spigolosi della montagna. Il cuore cominciò a sussultare e mi dissi con voce fioca: “…forse ci siamo…” come la nebbia si dissolse mi si apri di fronte ai miei occhi un oceano infinito di vette frastagliate nere come il carbone.
Dal cielo plumbeo cadde una goccia d’acqua che mi bagno un guancia, anche il cielo sembrava volere unirsi alla mia angoscia, quell’angoscia frutto di un’impazienza che mi aveva provocato più dolore che soddisfazione.
Un pensiero mi balenò nella mente, e all’albore di una nuova esplorazione cominciai a scendere quei versanti resi scivolosi e umidi, mi soffermai un momento e mi voltai indietro e vidi che quella punta aguzza e tagliente si era smussata, e con essa tutta la montagna.
Con sguardo meravigliato cominciai a scrutare ancora una volta quella vallata desolata e cosciente dei miei dolori guardai con occhio più umile e paziente quella distesa di montagne di sale, che inondate da un oceano bollente come l’anima, si sciolsero, e il tutto divenne brodo primordiale di una nuova vita: la mia!
Giacomo Bartoli
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