Ma se ghe penso alôa mi veddo o mâ,
veddo i mæ monti, a ciassa da Nonçiâ,
riveddo o Righi e me s’astrenze o cheu…
Ma se ohe penso una delle tante canzoni che affondano le loro radici nel fenomeno dell’emigrazione. Un fenomeno che appartiene alla notte dei tempi e che ha portato con sé anche la circolazione delle idee, la contaminazione delle culture e l’apertura di nuovi orizzonti e frontiere. Ma l’emigrazione è anche la storia personale di quell’uomo che pensa “ancon de ritornâ”, perché la nostalgia è il sentimento che nasce proprio dal desiderio di tornare nella propria casa, nella propria terra, alle proprie radici.
E quello stesso uomo, che agli inizi del 1900 sognava di tornare nella sua Zena iluminâ, potrebbe essere oggi uno dei tanti migranti che sbarcano sulle nostre coste. Al di là del gravissimo problema sociale e di tutte le sue ripercussioni, con queste persone gli italiani, che a loro volta sono stati emigranti per sfuggire all’assoluta miseria, alla guerra, alle persecuzioni politiche e, ancora di recente, sono tornati ad esserlo per la mancanza di lavoro e prospettive, condividono certamente il sentimento della nostalgia.
La nostalgia è la canzone di chi parte. Di chi parte e spesso non ritorna. Quello dell’emigrazione, e quindi della nostalgia, è un filone importante che attraversa la storia della canzone italiana. Si passa dall’ironia di Renato Carosone a Domenico Modugno, all’impegno politico di De Gregori, Fossati, De Andrè, Guccini e molti altri. Comunque la si declini, la nostalgia permea i versi cantati da milioni di emigranti italiani, senza differenze regionali: “Torna a Surriento”, “Lacreme napulitane”, “O mia bela Madunina”, “Trieste mia”, per citare le più conosciute nel mondo. E che dire di La porti un bacione a Firenze? Odoardo Spadaro nel 1937 cantava:
Partivo una mattina co’ vapore,
e una bella bambina gli arrivò.
Vedendomi la fa: Scusi signore!
Perdoni, l’è di’ ffiore, sì lo so.
Lei torna a casa lieto, ben lo vedo,
ed un favore piccolo gli chiedo.
La porti un bacione a Firenze,
che l’è la mia città
che in cuore ho sempre qui.
La porti un bacione a Firenze,
lavoro sol per rivederla un dì.
Son figlia d’emigrante,
per questo son distante,
lavoro perchè un giorno a casa tornerò.
Canzoni che parlano del potentissimo dolore di chi vuol ritornare là dove ha lasciato il cuore. Come indica l’etimologia della parola, nostalgia infatti non è che il dolore del ritorno o meglio del non ritorno. È il sentimento che rende vivo e presente quello che non c’è, chi non c’è, è l’eco dell’assenza, della mancanza di qualcosa o di qualcuno. È il desiderio di tornare a qualcosa che è stato, ma non è più.
La nostalgia è qualcosa che afferra da dentro perché in questo sentimento ci siamo noi, come eravamo, come ci siamo sentiti in quei luoghi o con quelle persone.
La nostalgia ha trovato, si diceva, la sua miglior forma espressiva nelle canzoni, che sembrano il modo di attenuare l’effetto di un sentimento così forte e struggente. Se da un lato, in realtà, amplificano l’assenza, certamente aiutano ad accettarla.
E quando si canta con il magone che stringe la gola e le immagini che riempiono gli occhi di lacrime, cos’altro può significare se non che abbiamo amato e amato per sempre?
Rossana Conte per malacopia
Qui se volete ascoltare la versione di La porti un bacione a Firenze di Nada.
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