Il bugiardo di Carlo Goldoni, regia di Carlo Roncaglia, al Teatro Litta di Milano.
La bugia in psicanalisi è una forma di auto-determinazione: il soggetto che reitera la bugia è perfettamente cosciente spesso di dire bugie e il farlo tradisce una forma di affermazione, una volontà di incidere sulla realtà che ci circonda in maniera personale. Si esiste in quanto ci si investe di altri ruoli, di altre imprese, di altri mondi. È una pratica, come sostengono molti specialisti, di ‘sopravvivenza’ e talvolta si finisce per aderire completamente alla bugia al punto che la bugia diventa un mondo parallelo alla realtà ma altrettanto vivo e pulsante, forse anche migliore, dal momento che la patologia impone un’adesione completa alla propria necessità di mentire. E di conseguenza diventa uno stile di vita. Quel mondo parallelo, o quei molteplici mondi paralleli, diventano una necessità, un’abitudine e vengono alimentati giorno dopo giorno.
Ed è così che Lelio dei Bisognosi, figlio del mercante omonimo Pantalone, al rientro da Napoli, dove ha trascorso gli anni della sua gioventù grazie alle cure dello zio, al suo arrivo a Venezia, accompagnato dal fido Arlecchino, alla vista delle due figlie del dottor Balanzone, Rosaura e Beatrice, ordisce ed inscena per l’occasione uno dei suoi migliori imbrogli ai danni del ricco Florindo. Quest’ultimo, timido, non ha il coraggio di manifestare il proprio amore per Rosaura. L’evolversi della vicenda non permetterà al mitico bugiardo di portare a buon fine la sua colossale bufala ed sarà costretto a rivelarsi per quello che è: un impenitente ed accanito cultore della bugia.
Il bugiardo, commedia scritta da Carlo Goldoni ed ispirata, per ammissione dell’autore stesso, alle precedenti Verdad sospechosa di Juan Ruiz de Alarcón e Le menteur di Pierre Corneille, fu rappresentata per la prima volta a Mantova nel 1750. Carlo Roncaglia nel metterlo in scena al Teatro Litta di Milano, per l’Accademia dei Folli e Litta_Produzioni, in accordo con Emiliano Poddi, riduce e riadatta i tre atti della commedia ad un solo tempo, prosciugando non di poco la vicenda ed incentrandola quasi esclusivamente sul protagonista. La scena è molto semplice (di Bettina Colombo, che cura anche i costumi): sei pannelli ad altezza uomo su cui sono accennate, sbiadite dal tempo, sei grige finestre non praticabili da cui spiare, origliare e pettegolare, pannelli che disposti sempre in modo diverso danno agio di creare molteplici e fantasiose situazioni. Su una base “neutra” dei costumi che rimandano piuttosto ad atmosfere clownesche, inserisce elementi dell’epoca, come livree e parrucconi, ma spessissimo ricorre a riferimenti assolutamente contemporanei,. Così, i ray-ban che inforca Lelio per ‘travestirsi’ ed inventarsi l’ennesima burla sono una bellissima e riuscita trovata. Così come quell’incrociarsi ed accavallarsi di telefonate alla fine della vicenda, come in un call center di un qualsiasi operatore telefonico, che smaschera l’incauto bugiardo e che in un tourbillon di situazioni giustifica il taglio di alcuni personaggi della commedia ed avvalora la cifra stilistica dello spettacolo.
Cinque sono gli interpreti, chiamati spesso a ricoprire più ruoli, tutti brillanti ed effervescenti che con gags e trovate sempre nuove tengono viva l’attenzione per tutta la durata dello spettacolo. Motore della messinscena è il bravissimo Enrico Dusio nel ruolo del protagonista: aitante, energico e scoppiettante, regala durante la prima mezz’ora dello spettacolo una girandola di emozioni e di festosa energia. Un po’ più convenzionale quando, per ovvie ragioni, scoprirà di essere realmente innamorato di Rosaura, per poi ritornare ad essere l’impenitente e seduttivo bugiardo di sempre. Ma le sue ‘non sono bugie ma favole prodotte dal suo ingegno, spiritose invenzioni. Colombina ed Arlecchino, Elena Ferrari e Raffaele Musella, rispettivamente sia nelle intenzioni della regia, che li sveste dell’iconografia tradizionale, sia nell’interpretazione davvero meritevole, si aggiudicano una menzione a parte, perché sono riusciti ad evitare cliché stilistici e li hanno trasformati in due giovani e struggenti innamorati. Pur sempre fedeli ai canoni della commedia dell’arte, reinventano infine i due noti personaggi. Arlecchino, la più famosa maschera veneziana, si produce anche in un’ottima versione tenorile del classico napoletano ‘te voglio bene assaie’. Elisa Galvigno e Gianluca Gambino completano il cast.
Il materiale drammaturgico goldoniano è dunque usato per una riscrittura scenica contemporanea. Le musiche, anche ad opera di Carlo Roncaglia, lo sottolineano. Ancora una volta, Carlo Goldoni si rivela di una modernità sconvolgente.
Mario Di Calo
… for malacopia
regia: Carlo Roncaglia
con: Enrico Dusio, Elena Ferrari, Elisa Galvagno, Gianluca Gambino, Raffaele Musella
musiche originali: Carlo Roncaglia
scene e costumi: Bettina Colombo
produzione: LITTA_produzioni – Accademia dei Folli
fino al 1 dicembre al Teatro Litta di Milano
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