Francisco Goya, ”Il sonno della ragione che genera mostri”
Parto da un presupposto: il brutto nell’arte è essenziale. Senza il brutto, difficilmente si potrebbe apprezzare quello che, causa canoni estetici convenzionalmente accettati, è ritenuto bello. Inoltre, il brutto fa spesso paura. E questa paura in fin dei conti ci affascina anche un po’. Provate a riflettere: a chi non è mai capitato di rimanere affascinato da un film horror al punto da non riuscire a staccare lo sguardo nonostante l’intrinseca paura che lo stesso provoca? La stessa cosa succede con le opere d’arte: tanto più un quadro fa paura allo spettatore, quanto più sale la voglia di continuare a guardarlo.
Tutto quello che ho appena detto è magistralmente rappresentato da uno dei pittori più controversi della storia dell’arte: Francisco Goya. Goya non era nuovo a un genere che destasse scandalo al pubblico, particolarmente alla Spagna del periodo dell’inquisizione. Nel 1797 realizza un’acquaforte dal titolo Il sonno della ragione genera mostri, foglio numero 43 di una serie di 80 incisioni ad acquaforte dal titolo I capricci, che vedrà la luce nel 1799.
Quest’opera rappresenta la prima di una serie non realizzate su commissione che propongono vizi e miserie umane, ma anche soggetti fantastici o grotteschi. Neanche a dirlo, questa serie di opere destarono grande scandalo e furono ritirate immediatamente dal commercio e da ogni porto in cui erano approdate.
L’opera ritrae un uomo addormentato in primo piano; l’uomo dorme e intorno a lui prendono forma inquietanti figure notturne che sono frutto della sua mente. Alcuni scritti contemporanei all’opera, uno dei quali conservato al museo del Prado e ritenuto autografo di Goya stesso, ne chiariscono meglio il soggetto: «La fantasia priva della ragione produce impossibili mostri: unita alla ragione è madre delle arti e origine di meraviglie».
Nonostante la terribile pressione esercitata dalla Chiesa, Goya non smise la sua produzione di opere ”macabre”. Nel 1819, con il restaurarsi del regime borbonico, Goya si trasferisce nella periferia di Madrid e qui si dedica dal ’20 al ’23 alla produzione delle famose ”Pitture nere”.
La ”Quinta del Sordo”, nome che aveva dato alla sua abitazione, offriva ampio spazio ai suoi dipinti ormai dediti alla raffigurazione dei suoi “fantasmi”: scene di stregoneria ed esorcismi che attraverso il simbolismo e la deformazione espressiva prendono vita angosciante sotto le rapide pennellate informali e deformanti del pittore, che, dopo la perdita dell’udito, dipinge esclusivamente di notte.
Di questo ciclo fa parte una delle mie opere preferite: Saturno che divora uno dei suoi figli, la cui mostruosità infanticida è collocata al pian terreno. Dal punto di vista prettamente estetico, il quadro ricorda la famosa fucilazione, ma da un punto di vista esecutivo-formale – il soggetto si staglia su uno sfondo nero pece – , questo dipinto, capitale per sintesi ed efficacia, apre la strada all’Espressionismo novecentesco.
Uno dei modi migliori per riassumere questa particolare produzione di Goya si cela nel testo originale di Helman: «Quando gli uomini non ascoltano il grido della ragione, tutto muta in visione».
Valerio Vitale per malacopia
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