(Dopo le avversità, torno a rialzarmi)
Una delle leggi incontrovertibili dell’esistenza umana è illogica, antifisica eppure drammaticamente vera: per ricostruire ciò che crolla, ci vuole un tempo di molto superiore a quello necessario per costruire. Eppure il tempo e lo spazio, privati del loro vecchio senso romantico, sono ridotti a grandezze misurabili e noi a ingranaggi di una mostruosa macchina che non si ferma mai. Ogni processo dovrebbe riprendere con la stessa solerzia e la meccanica di sempre. E, invece, no.
Crollare, ridursi in mille pezzi, trovarsi un momento prima liberi in cielo e poi, improvvisamente, schiacciati in terra, è la porta di ingresso di un tunnel che può diventare davvero un’Ade, soprattutto quando la ragione non riesce a tenerci a galla con il giubbotto di salvataggio dei perché. E allora ci sembra di navigare in un mare di incertezze che si configurano come mostri omerici, di avvertire che nessuna parola può essere adatta a dare voce alla rabbia e alla delusione, che finanche quelle voci fiduciose, che ci promettono sostegno per risollevvare le avverse sorti, siano semplici canti di sirene ingannatrici, che, sotto ammirevoli forme, nascondono spettrali presenze.
C’è da chiedersi se questi spettri siano gli stessi che si aggirano di notte per Amatrice, quelle oscure presenze che, pur non visibili, hanno il potere di far percepire l’immane tragedia cantata dal coro delle macerie, ancora pulsanti; oppure se siano più simili a quegli insostenibili tormenti che invadono le anime, quando l’uomo viene privato della serenità e dell’equilibrio, scagliato con la violenza inaudita della Fortuna sugli scogli, che un tempo avevano l’apparenza di fiducioso luogo di partenza. Non c’è risposta, non ci sono ipotesi. Si sente solo il peso fisico di qualcosa, che preme, preme, fino a lacerare e a provocare ferite… E non soltanto in chi è sotto e annaspa, ma anche in chi osserva impotente, invocando il palliativo della umana solidarietà.
Meravigliosa e contradditoria creatura questo uomo multiforme, che sa essere tutto e anche niente, capace di raggiungere punte di suprema luce nel suo agire quanto rasentare una meschinità al confine con il centro della Terra. Si veste di obiettività quanto di menzogna, fa esercizio di azione quanto adora l’ignavia; sa essere ottimista fino a toccare le stelle e pessimista piagnucolone, nascondendo il viso dietro le mani.
Quest’uomo può essere distrutto, ma mai sconfitto. Pur frantumato in mille pezzi, con l’ultimo frammento superstite di iride, sa guardare il mondo, ricordare le meravigliose sfaccettature della vita e specchiarsi nell’eterna rivale Natura. E lì, in un punto imprecisato della ragione umana, nasce la speranza, la reazione, la forza; all’improvviso e senza nessuna previsione. Lo spazio da verticale diventa orizzontale, la distruzione costruzione, la cenere e la polvere diventano materia.
Sembra una di quelle storie dei libri di magia, rispolverate solo per il gusto del conforto. Eppure non è così. Chissà quante arabe fenici abbiamo visto volare e non ce ne siamo accorti. Forse perchè la rinascita è un fatto così naturale e ciclico da passare inosservato. O forse perchè anche noi siamo stati, spesso, parte di quello stormo di fuoco.
Franz Iaria per malacopia
Illustrazione di Stefano Cortini
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