Il parco di Ueno è ricoperto da un manto di petali candidi; mentre il fruscio delle foglie suona come il getto di una fontana, sono disteso sull’erba, ipnotizzato dal lento dondolio dei fiori di ciliegio, accecato da tutto quel candore e estasiato da quel profumo. Incuriosito, come al solito, chiedo al mio amico Hiroshi un chiarimento sulla storia del profumo in Giappone. “Da come lo scriviamo Vero! Gli ideogrammi che compongono la parola “profumo” sono due: uno è quello di profumare 香 mentre l’altro e quello di acqua 水. Proprio come in molte lingue occidentali, anche il giapponese usa neologismo formato da una parola composta, il che lascia dedurre che l’etimologia del termine “acqua profumata” sia relativamente nuova. La parola entra in uso in Giappone solo alla fine del 1800 successivamente all’apertura del paese all’occidente. Un’epoca denominata restaurazione Meiji, un lasso di tempo in cui il paese si trova a dover rivedere le proprie usanze e costumi per potersi mettere al passo con un Occidente in continua espansione. In realtà, in un passato più risalente, l’usanza di diffondere fragranze c’era, eccome! L’abitudine, per esempio, di profumare gli ambienti mediante l’uso di incensi era una pratica molto in voga derivata dalla filosofia buddhista, e che si trasforma nel corso degli anni in una vera e propria cerimonia rituale detta Kōdō 香道. Questa antica cerimonia – proprio come quella del tè verde e dell’Ikebana – fa parte di quegli antichi rituali, eredità culturale Nipponica. Si svolge in una stanza apposita, di solito di colore bianco, ed è spesso eseguita da un monaco. L’officiante arde diversi tipi di legno in un brucia incenso (香炉 kōro) in cui viene sistemato un letto di carboni vivi, coperti e pressati con complesse tecniche e con appositi utensili. Successivamente si scava un foro che fa da camino sul quale viene poggiato uno speciale piattino decorato d’argento. Su quest’ultimo viene posizionato un minuscolo pezzettino di legno da incenso che emette una fievole fragranza. Al che i partecipati alla cerimonia prendono il kōro nel palmo sinistro della mano e ne coprono la parte alta con la mano destra, appoggiandovi il naso per apprezzarne il bouquet. Oltre a questa affascinante e antica arte, in Giappone, le radici i legni e i fiori erano usati anche per profumare armadi, cassetti e delle piccole scatole fatte in legno che venivano attaccate alla cintura dell’abito chiamate Inrō (印籠) anch’esse, considerate vere e propie opere d’arte artigianali e che avevvano lo scopo di portare al loro interno tutte ciò di cui si aveva bisogno lontano da casa. Queste piccole borse erano fatte di legni pregiati, e impregnate da oli essenziali ricavati da fiori e radici. Le belle dame di corte invece in primavera adornavano il capo con corone di fiori profumati, kanzashi 簪, che rilasciandone gli oli essenziali profumavano i capelli d’essenza fiorita. Il fiore più apprezzato è senza dubbio quello di ciliegio e non solo per il suo straordinario olezzo ma sopratutto per il suo essere effimero, uno dei valori principali del pensiero della transitorietà delle cose. L’Hanami (花見? lett. “ammirare i fiori”) è un’usanza ancora molto sentita in Giappone, tanto che milioni di persone si spostano dalle città per godere dello spettacolo dei sakura in fiore nelle località più famose. Mentre il tramonto irradia d’arancio l’orizzonte, raccogliamo le nostre cose per tornare a casa, e mi accorgo che un Tanzaku (foglio di carta di riso verticale sul quale di solito si scrivono poesie o messaggi d’amore), portato dal vento, si è posato sul mio cappotto disteso sull’erba: Se non a te a chi potrei mostrare questi fiori? Domenico Romano per malacopia
Solo conoscerli può chi sa intendere il colore e il profumo!
Profumi di Giappone
[profumo, ndr] dovresti capirlo!”, mi risponde.
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