Una scatola rossa rinchiusa in un armadietto piena di vecchia corrispondenza. Carta pesante come un sasso su cui si appoggiano le forbici del destino. Tutte cose sparse, vicine tra loro senza alcuna catalogazione per anno o per provenienza. Svanito del tutto l’odore chimico e finto delle penne o delle lettere su carta che chiamavamo profumata. Restava nitido il profumo del tempo passato. Amici conosciuti d’estate e mantenuti d’inverno con un filo forte di trama invisibile, tenuto saldo dall’andirivieni di un postino.
Ne aprì una. Non ricordava né contesto né la missiva spedita a cui facevano riferimento le parole con evidente tratto di risposta.
Eppure tra quelle righe gli stessi messaggi di incoraggiamento di cui aveva bisogno adesso. La certezza di essere stata presenza, aiuto, sostegno ai sogni di altri. Quella carta pesava ben più del suo peso specifico; pesava sul cuore, rendendolo al contempo leggero. Quei racconti di vita fra il dolce zuccheroso e il salato delle lacrime, fra il ballo lento intriso di sogni e il cuscino inzuppato dove riporre tutta la delusione.
E poi, sempre presente, una amica che ti capisce a portata di penna. Telefonare costa, si chiama teleselezione quando supera i confini della tua provincia. Bisogna mantenere i rimproveri in un margine di tollerabilità, e le cabine telefoniche, nonostante abbiano tutto l’aspetto dei box doccia, sono troppo simili ai confessionali con la comare del rione pronta a sghignazzare della vita ad ostacoli del tuo cuore.
Leggeva e rileggeva le lettere, pesanti come sassi di persone che il destino aveva reciso. La stessa penna veniva prima affaticata dai compiti a casa, poi resa sacra da un momento intimo, tante volte scritto di getto, senza bella o malacopia: siamo fra amici, persone che si amano a distanza – e che diamine, non sto scrivendo al Sindaco!
Ogni parola faceva passare in rapida dissolvenza le immagini dal bianco e nero ad un colore vivace ed intenso. Attivò la voglia di tornare a prendere una corda per giocare insieme in qualche modo, cercare con i potenti mezzi moderni il modo di recuperare qualcuno che adesso ha un po’ di bianco fra i capelli, non perdersi, ritrovarsi. Quel cognome così particolare ed eccola, trovata. L’amica con cui aver fatto un patto: “La sera ci dedicheremo la stessa canzone prima di andare a dormire”.
Una telefonata, quella voce e sembra che niente sia cambiato. Il Postino cede il passo alla tastiera. La carta che non ha memoria di quanto già scritto svanisce davanti ai messaggi che si ricordano anche l’ora e dove ti trovi.
Non ricorda davanti a quella scatola rossa, se fosse seduta sul letto, su una panchina o su un tavolo per studiare. Non c’è una APP per ricostruire esattamente che tempo facesse. Un piacere sottile nel ricordare quel tempo dedicato al pensiero, il racconto dell’ordinario dello straordinario scoperto fra una preghiera e un sospiro. Carta pesante come un sasso. Spacca le finestre di una fabbrica abbandonata. Dopo il primo vetro rotto altri seguiranno a breve. Nello spazio fra quelle lettere tutte le volte che i vetri sono stati ripristinati, proposte, inviti alla bellezza ordinaria ad aver cura dei propri doni del proprio cuore. Forbici che si posano sul sasso, naufraghi, stanchi di rami da tagliare e nuovi indirizzi da incollare sulle buste prima di spedirle. Forbici alle quali affidare la prossima primavera.
Mai niente vince da solo su tutto. Solo l’amore scambiato cresciuto e condiviso. Da quella scatola rossa un incoraggiamento a cercare altre storie da raccontare cambiando stagione, pur sempre fedeli all’amore del proprio cuore.
Irene Spadaro per malacopia
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