La locandiera di Carlo Goldoni, adattamento e regia di Giuseppe Marini al Teatro Quirino di Roma.
Siamo di fronte ad tribunale maschilista dove l’imputata del giorno è tal Mirandolina, locandiera in quel di Firenze alla quale è morto il padre da sei mesi e che gestisce la propria locanda a proprio piacere e godimento e che fu destinata a nozze dal defunto genitore a tal Fabrizio, servitore devoto e tanto innamorato. Questo è il presupposto dell’impianto drammaturgico di forte impatto a cui Giuseppe Marini si è ispirato per la messinscena de La locandiera di Carlo Goldoni.
Una stanza della tortura, con precisi riferimenti settecenteschi, tutta bianca, dove l’essenziale arredamento in nero risalta sull’accecante candore della scena bella di Alessandro Chiti. Non ci sono vie di uscita, si entra per restarne imprigionati, come un carillon dove l’unica ballerina a volteggiare è la povera giovane ostessa, e il suddetto carillon è la sua prigione. A sottolineare l’effetto claustrofobico contribuiscono i contrappunti musicali dall’effetto inquietante. Non in ultimo, i corteggiatori sono la rappresentazione di un bestiario umano dalle sordide qualità.
L’amore è vivisezionato in tutte le sue sfumature e/o sfaccettature ed è prosciugato ai minimi termini. Spesso ci troviamo ad esser spettatori di momenti di rarefazione e di astrazione di una modernità stupefacente. La locandiera con l’universo dei suoi sentimenti così ben descritto dall’autore veneto risulta un archetipo intramontabile, e che riesce a scagionarsi da qualsiasi attacco proveniente dal mondo maschile.
Ci vuole più danaro o più protezione? Di cosa ha bisoogno realmente Mirandolina? E l’emblematica boccetta è d’oro o di princisbek? Nell’incontro fra il Cavaliere di Ripafratta e la protagonista è tutta la chiave di regia di Giuseppe Marini, che nella messinscena odierna è anche interprete del Cavaliere. Nella sofferenza di dar piacere si gioca ad armi pari e toccherà al Conte farne le spese, seppur armato di tutto punto in una mise soft sadomaso.
Invece, la coppia sfranta fra il Conte di Albafiorita ed il Marchese di Forlinpopoli -interpretato quest’ultimo dai bravi Maximilian Nisi e Fabio Bussotti- con toni clowneschi alleggerisce l’atmosfera strinderghiana della pièce. il Cavaliere di Ripafratta con le sue micrognosità sembra il prototipo dell’ebreo shakespeariano, ben bilanciato dal suo antagonista variopinto e vivace, con una parrucca rosso carota a cresta di gallo.
Ed in luogo delle commedianti Dejanira ed Ortensia ritroviamo un transex dei giorni nostri, ben reso dallo scoppiettante e dalle incredibili capacità vocali Fabio Fusco, che compensa e riunisce in un unica figura le caratterische dell’eterno femminino: seduttivo e commediante al tempo stesso – ‘je suis commedien‘ dice per l’appunto per descrivere se stessa o se stesso -!
E c’è anche un omaggio a Luchino Visconti con quelle lenzuola spiegate che ricordano la messinscena di questo testo più famosa del secolo scorso ad opera del maestro compianto.
Nancy Brilly, mirabolante e luciferina Mirandolina con una parrucca un po’ rasta ed un abbiagliamento essenziale sulle nuances del grigio, tiene il personaggio sempre su di una corda tesa per tutta la durata dello spettacolo, interprete di una ostessa sempre lucida nel suo scopo finale, maritarsi al fedele e dignitoso Fabrizio, il facinoroso e atletico Andrea Paolotti. All’ingresso della protagonista, di grande effetto, con un lento cambio a tempo di musica la scena diventa un immensa parete con decine di specchi dove si rifrange la sua immagine come a ricordarci il dettato pirandelliano dell’uno, nessuno, centomila. Non saremo mica di fronte ad un opera al nero?
Mario Di Calo
… for malacopia
LA LOCANDIERA di Carlo Goldoni
con Nancy Brilli
adattamento e regia Giuseppe Marini
con (in ordine alfabetico) Fabio Bussotti
Giuseppe Marini Maximilian Nisi e con Fabio Fusco Andrea Paolotti
scene Alessandro Chiti
costumi Nicoletta Ercole
dal 12 novembre al 1 dicembre al TEATRO QUIRINO di Roma poi in tournée
Scrivi un commento