Bisogna essere morti per poter comunicare.
Zombitudine di Daniele Timpano e Elvira Frosini al Teatro dell’Orologio di Roma fino al 23 novembre.
Bisogna essere morti per poter comunicare fra noi, la morte è una cosa meravigliosa. Solo quando abbiamo raggiunto questa condizione ideale potremo finalmente comunicare liberamente fra noi: zombi in un mondo di morti. Questo è l’assunto principale dello spettacolo di e con Daniele Timano e Elvira Frosini che ha debuttato per la ventinovesima edizione di Roma Europa Festival 2014 al teatro dell’Orologio fino al 3 novembre.
All’ingresso viene consegnato un vademecum in tredici punti di sopravvivenza alla Zombitudine, nel quale salta all’occhio la tredicesima regola che riportiamo pari pari ‘Cimiteri e teatri sono i luoghi migliori per nascondersi, essendo vuoti e pieni di morti (morti – morti e morti-veri). Anche i tetti sono abbastanza sicuri ma ormai siete a teatro‘.
Non c’è via di scampo per noi, quella che può rappresentare la nostra salvezza sarà la nostra fine. Un controsenso intrinseco che la dice lunga sulla platea numerosa che affollava la sala Orfeo dell’Orologio.
In realtà, più che in un teatro sembrava di trovarsi in una casa degli spettri di un qualsiasi luna park di provincia, voci registrate inquietanti che provengono da dietro un sipario rosso liso e sitnto, i due protagonisti come manichini impagliati che attendono immobili prima di rianimarsi per lo spettacolo. Ci inondano di interminabili e gustosi tormentoni di calembour in uno sportivo e galante gioco fra marito e moglie, fra uomo e donna, palleggiandosi il primeggiare sulla scena. Si svolge quasi tutto in proscenio la serata, che risulta essere caustica e amara, purtroppo, a causa dell’epoca semitragica in cui viviamo. Una analisi al vetriolo di una società in decomposizione; seppur ci si volesse incazzare, la rabbia non può che essere repressa e depressa, in fondo siam tutti a-spettatori ed a-spettatrici in decomposizione, che non presentano nessuna forma di ribellione non hanno nessuna via di scampo.
Uno spettacolo di tre D: derelitti, depressi e disperati. Daniele e Elvira anche loro sono nella nostra stessa condizione e alla ricerca di un motivo, di un titolo per definire il nostro incontro. Solo dopo una lunga e divertente litania riescono finalmente a dare un nome al loro desiderio e volontà di salvarsi e di salvarci: Zombitudine. Ma di una cosa siamo sicuri: siamo in un teatro, luogo frequentato ed agitato solo da morti e il finale semitragico lascia ben poco sperare. Che fossimo già morti in cammino verso il nulla lo sapevamo fin dall’inizio ma scoprire di essere degli zombi in continua ricerca di cannibalizzare i propri simili è una scoperta agghiacciante e disarmante.
Zombitudine, in realtà, sembra discendere direttamente da una costola del beckettiano Finale di Partita con quell’attesa di un qualcosa che non avviene mai, in un reiterato riprendere da capo un loop di argomentazioni. Il tono tragico è stemperato dal divertissement, i due interpreti semiseri sono sempre al limite fra comicità e speranza, il tormentone del caffè ce li rende teneri, come sorpresi in uno spaccato familiare. Viene quasi voglia di uscire fuori da quella dimensione spettrale e andare al bar per fargli prendere un attimo di fiato.
Mario Di Calo per malacopia
Zombitudine di e con Daniele Timpano e Elvira Frosini scene e costumi Alessandra Muschella produzione Compagnia Frosini/Timpano, amnesiA vivacE, Kataklisma coproduzione Teatro della Tosse, Fuori Luogo, Teatro dell’Orologio, Progetto Goldstein con sostegno di Teatro di Roma nell’ambito del progetto ‘Perdutamente’
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